Le immense colonne del Tempio di Nettuno di Paestum si ergono sul palco dell’Arena di Verona, ricordandoci la nostra piccolezza davanti al potere divino. Quella del tempio greco è una costruzione spirituale monumentale, in cui anche la fede agli dei diveniva enorme, così come il senso emotivo di condivisione. Allo stesso modo il Requiem di Verdi è un viaggio, dantesco verrebbe da dire, attraverso la spiritualità, la ricerca di Dio, all’interno di pagine musicali colossali per ampiezza, forza drammatica e sentire interiore.
E’ ancora più colossale se viene eseguito all’Arena di Verona, anch’essa tempio, luogo sacro dell’arte, in cui le emozioni verdiane vibrano sulle gradite fino ad arrivare al cielo. Ed il cielo fortunatamente ieri sera, 18 luglio, era sereno: chi era presente all’ultimo Requiem verdiano in Arena (nel 2013), ricorderà la serata suggestivamente tempestosa. La serata si è aperta con una dedica speciale a Graham Vick, che in Arena e al Teatro Filarmonico realizzò indimenticabili produzioni: La Traviata, Anna Bolena e Manon Lescaut.

Il sentimento che pareva aleggiare intorno a questa serata era la “speranza”, la speranza di poter ripartire sempre di più, di poter costruire un mondo più consapevole. E speranza di nome e di fatto, era anche il Maestro, Speranza Scappucci, ormai una delle realtà direttoriali più luminose a livello internazionale, al suo felicissimo debutto nell’anfiteatro. Il suo è un Requiem pieno di energia, focoso, dai tempi spesso spediti (il Dies Irae è per tempi quasi ai livelli del giovane Muti). Scappucci è poi abilissima nel trasformare tutto questo fuoco in momenti di impalpabile lirismo, rendendo sempre avvincente e suggestiva la sua direzione. Le è d’accanto l’Orchestra e soprattutto il coro dell’Arena di Verona, in stato di grazia.

Buono il cast vocale, a partire da Piero Pretti, tenore di ottima musicalità e senso della frase, in grado di accentare sempre con perizia e sensibilità. Hibla Gerzmava, al suo debutto in Arena, mostrava voce dallo splendido colore perlaceo, canto sempre morbido sul fiato ed espressivamente coinvolgente. Gestisce assai bene la lunga pagina del “Libera me”, pur con qualche asprezza nel registro acuto. Anche lei al suo debutto veronese, il mezzosoprano Clémentine Margaine mette in luce temperamento e un fraseggio volenteroso, ma anche una certa disuguaglianza timbrica e qualche difficoltà d’intonazione.
Un capitolo a parte lo merita Michele Pertusi, che si staglia su tutti per la nobiltà del suo canto, ieratico, nobilissimo e monumentale nello scolpire la parola, affidando ad essa il compito di sbalzare l’autorevolezza del suo canto.
Al termine un caloroso successo, e un trionfo personale per il Maestro Speranza Scappucci.