Violetta è forse il ruolo che tutti i soprani sognano, è come Otello e Don Giovanni, personaggi che sono usciti dall’ambito della forma d’arte per divenire icone, simboli di un mondo unico e inconfondibile. Alphonsine Marie Duplessis creò da viva, con la sua grazia e la sua divina vulnerabilità, il mito di sé stessa: come ha detto meglio di noi la scrittrice Julie Kavanagh «la professione di Marie le consente un accesso privilegiato al meglio del suo tempo, e presto il suo tempo si accorge di lei, per non dimenticarla più».
Per questo ogni nuova interpretazione rappresenta un evento nella definizione di un monumentale personaggio. Il 23 luglio abbiamo avuto il piacere di scoprire la visione di Violetta di una giovane stella, il soprano Ruth Iniesta, che con la sua personalità e mediante essa, ha creato un personaggio indubbiamente originale, vissuto con audace consapevolezza. La sua Violetta attraversa la primavera della vita nel I atto, fresca, sentimentale nell’aria (“Ah, fors’è lui”), focosa (quasi nevrotica) nelle colorature di “Sempre libera” (coronata da un Mib vittorioso); l’autunno nel II atto quando la vita le mostra la sua caducità e le presenta il conto; l’inverno nel III (peccato non sentire entrambe le strofe di “Addio del passato”), quando anche il corpo abbandona quest’anima già da tempo salita al cielo. La Iniesta mostra tutto questo con la sua voce, mai snaturandola, anzi gestendola con intelligenza sia tecnica che emotiva.
Le è degno contraltare l’Alfredo di Francesco Meli, che ancora una volta sa ben riportare il personaggio alla sua natura di tenore romantico (non è forse Alfredo erede di Nemorino o di Edgardo?). La capacità del tenore genovese di piegare la sua voce alle più sottili raffinatezze di fraseggio lo rendono interprete sempre carismatico e coinvolgente, attore spigliato e intenso. Un fuoriclasse.
Il Giorgio Germont di Simone Piazzola è interpretazione sempre più paradigmatica per la ricchezza delle intenzioni abbinata ad una vocalità baciata per timbro, ma ancora meglio gestita con sapienza. “Di Provenza il mar, il suol” suona davvero pregna nella sua interpretazione, per l’attenzione alle indicazioni verdiano, come il “dolce” e “marcato” sulla ripetizione di parole come “chi dal cor” e “qual destino”: è evidente come Papà Germont non stia altro che facendo leva sul senso di colpa di Alfredo.

Ultimo ma non ultimo è il Maestro Francesco Ivan Ciampa sul podio, che ispirato dai suoi cantanti dipinge una Traviata da tenere bene a mente. Se dovessimo scegliere un momento della sua concertazione sarebbe sicuramente il duetto tra Germont padre e Violetta, trascinante, commovente tanto nelle sue accensioni quanto nei sofferti sospiri, un vero terzetto con la Iniesta e Piazzola. Eccellente il lavoro dell’orchestra e del coro diretto da Vito Lombardi, preciso nonostante le evidenti difficoltà strutturali.
Efficaci le parti di fianco: Marcello Nardis come Gastone, Nicolò Ceriani come Barone Douphol, Dario Giorgelè come Marchese d’Obigny, Romano Dal Zovo come Dottor Grenvil, Max René Cosotti come Giuseppe, Victoria Pitts come Flora, Francesca Pia Vitale come Annina e Stefano Rinaldi Miliani nel doppio ruolo di Domestico-Commissionario.
Lo spettacolo visivo si conferma non più che funzionale cornice, ciascuno dei personaggi è abbandonato al proprio talento attoriale personale: il teatro resta soltanto nella musica.
Un successo con i toni del trionfo per Iniesta, Meli, Piazzola e il Maestro Ciampa.