L’atmosfera è quella delle grandi occasioni, si sente nell’aria l’adrenalina del pubblico prima di immergersi nelle note della Turandot pucciniana, e ancor di più nel debutto italiano nel ruolo del titolo della star Anna Netrebko.
Si tratta di un debutto riuscito: la Netrebko vince la sfida con l’impervia scrittura del ruolo con sicurezza e con lo sfoggio di un fraseggio sempre vario e immedesimato. Contribuisce alla definizione del personaggio anche la sua personalità di artista ed attrice, carismatica e autorevole. Il principe ignoto al suo fianco è il tenore Yusif Eyvazov, un Calaf generoso, cantato senza risparmio, che ha il suo punto di forza in acuti impavidi e interminabili.
Trionfa la Liù di Ruth Iniesta, che si dimostra interprete preziosa, creando un personaggio sensibile e combattivo, anche con un canto cromaticamente sempre interessante, esibendo convincenti affondi lirici e raffinati filati. Riccardo Fassi è un Timur dall’elegante linea di canto e dalla ragguardevole espressività.
Buono il trio delle maschere, dove sicuramente emergono Francesco Pittari (Pang), Marcello Nardis (Pong), mentre rimane opaco il Ping di Alexey Lavrov. Funzionale il Mandarino di Viktor Shevchenko, mentre risulta assolutamente brillante l’Imperatore Altoum di Carlo Bosi. Riccardo Rados era la voce del Principe di Persia.
Jader Bignamini dirige con professionalità, mostrando un buon controllo del rapporto tra buca, palcoscenico e coro. Bene la prova del coro diretto da Vito Lombardi e il Coro di voci bianche A.d’A.Mus diretto da Marco Tonini.
Il nuovo spettacolo, una produzione Fondazione Arena di Verona, si presta ad essere funzionale cornice allo svolgimento della storia e soprattutto alla forza del cast vocale.