Nabucco è l’opera della coralità: non solo il coro rappresenta probabilmente il protagonista principale dell’opera, ma gli stessi singoli personaggi diventano voci di una comunità: dal timor divino di “S’appressan gl’istanti” fino al glorioso “Immenso Jeovah”, che non a caso fu uno dei momenti più applauditi alla prima rappresentazione dell’opera.
Forse proprio per questo senso di comunitarietà si adatta anche a visioni registiche caratterizzate da un diverso linguaggio visivo e simbolico. Per questo non del tutto originale è la scelta di ambientare le vicende del Re Nabucodonosor II e della prima deportazione ebraica, nell’epoca del Nazifascismo. Lo spettacolo ideato per l’Arena di Verona sceglie questa strada, mostrando idee piuttosto ben congegnate ma che talvolta rimangono appena abbozzate. Le cose filano però certamente meglio che alla seconda rappresentazione del 17 luglio (in realtà prima rappresentazione visto che la vera prima è stata funestata dalla pioggia), grazie soprattutto ad un cast (tutto italiano!) che si mostra anche teatralmente agguerrito.
Innanzitutto Luca Salsi, per un’unica serata nei panni del sovrano babilonese, mostra un approfondimento del personaggio eccellente, con una dialettica espressiva minuziosamente sfaccettata, dal “sottovoce” di “Tremin gl’insanì” al commovente “Dio di Giuda”, fino al fuoco della cabaletta seguente (“Cadran, cadranno i perfidi”).
Accanto a lui Anna Pirozzi festeggiava la sua 100esima recita nel ruolo di Abigaille, un personaggio nel quale tante volte l’abbiamo ammirata e in cui ancora una volta l’abbiamo trovata vittoriosa, per la brillante gestione delle difficoltà vocali, l’ampleur degli slanci più lirici e la grinta interpretativa.
Davanti allo Zaccaria di Michele Pertusi ci si deve soltanto inginocchiare: canto perfetto, espressivo, monumentale. “Questa è di Dio la stanza!” ci ha fatto sussultare sulla sedia e così il canto di apollinea bellezza di “Tu sul labbro de’ veggenti”.
Annalisa Stroppa, da cantante di prima classe qual è, rende a Fenena la dignità che le spetta, restituendone l’ascendenza belliniana attraverso un canto di grande bellezza, limpido, ma anche pieno di carattere. La sua aria, “Oh dischiuso è il firmamento” riluce per purezza e ispirazione, riuscendo anche nel miracolo di sfumare il La acuto prima della scaletta discendente che porta alla cadenza finale.
Si conferma efficace l’Ismaele di Samuele Simoncini, mentre nei ruoli di fianco risultano sempre a prova di bomba le prove di Elisabetta Zizzo (Anna), Carlo Bosi (Abdallo) e Romano Dal Zovo (Gran Sacerdote di Belo).
Sul podio Daniel Oren è sempre guida travolgente, ma anche dotato di soffio poetico che si esprime in ogni momento della partitura, ma più di tutti in un “Va, pensiero” catartico, assecondato alla perfezione da orchestra e coro.