«Quanto è emozionante il “Va, pensiero” in Arena, la seconda volta lo è ancora di più»: così ci diceva uno spettatore l’altra sera, al termine dell’ultima recita di Nabucco nell’anfiteatro veronese. Il merito, va detto, è della prestazione del coro (diretto da Vito Lombardi), dell’orchestra e del Maestro Daniel Oren, che riesce ad imprimere respiro ad ogni momento dell’opera verdiana, infuocando i passi più battaglieri e corruschi della partitura e distendendo altrove tappeti di suoni di grande ispirazione. Oren è poi accompagnatore sempre vigile, con un bilanciamento delle varie componenti pressoché perfetto.

Nel ruolo del titolo Amartuvshin Enkhbat, dotato per natura di uno strumento magnifico per colore, estensione e pulizia tecnica, che si accompagnano però in questa occasione ad uno studiato approfondimento espressivo, che trova splendidi risultati nel “Dio di Giuda” e soprattutto nel recitativo che lo precede. L’Abigaille dell’estate areniana, Anna Pirozzi, dimostra anche all’ultima recita la sua completa padronanza del ruolo e il dominio di tutte le asperità di una scrittura che vuole perfezione tecnica e sfoggio temperamentale.

Ulteriore conferma ci arriva dalla Fenena di Annalisa Stroppa, che regala un’autentica oasi di Belcanto, grazie alla sensibilità espressiva e anche lei al controllo prezioso dei suoi importanti mezzi. Solido è anche lo Zaccaria di Rafal Siwek, così come convincente è l’Ismaele di Riccardo Rados.

Ottime le parti di fianco con Carlo Bosi (Abdallo), Nicolò Ceriani (Sacerdote di Belo) e Elena Borin (Anna).

Ancora un bis del “Va, pensiero”? Si, subito.

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