Quando un allestimento che nasce “provocatorio” diventa “classico” è un bene o un male? Questa è la domanda che ci è sorta dopo aver assistito all’ennesima ripresa della Carmen di Calixto Bieito al Teatro Massimo di Palermo. Uno spettacolo che da vent’anni si vede e rivede, e che è diventato sinonimo di quest’opera, pur suscitando sempre lo stesso interesse e anche gli stessi mugugni in chi vorrebbe la Carmen con il flamenco, i ventagli e i toreri ad ogni angolo. Questa palermitana rappresentava anche la ripresa “covid” di uno spettacolo che è invece più fisico che mai. Le forze del Massimo di Palermo, grazie ad un controllo serrato di tamponi giornalieri e mascherine per tutti (solisti compresi) fino alla prima, hanno portato a superare tutti gli ostacoli imposti dal distanziamento e a restituire comunque la carnalità dello spettacolo così come concepita da Bieito.

©Rosellina Garb

Come si diceva, uno spettacolo ormai diventato un classico, ma che non deve essere di pari considerato “vecchio” o “invecchiato”. La ripresa registica curata da Alexander Edtbauer tuttavia non rendeva le cose facili in questo senso, dal momento in cui pareva di essere di fronte ad una copia un po’ sbiadita dell’originale. Probabilmente le poche prove, o le difficoltà dovute alla situazione contingente, non hanno permesso di ricostruire vividamente tutti quelli che sono i meccanismi di azione teatrale di questo spettacolo. Questo lo si notava soprattutto nel lavoro sulle parti di fianco: tutti i caratteri (Frasquita 
Mercédès, Le Dancaïre, Le Remendado) così approfonditi nel lavoro originale di Bieito, risultano appiattiti e abbandonati spesso alle loro personali doti teatrali. Il personaggio che ne fa le spese più di tutti è il Lillas Pastia, interpretato dal pur bravo Pietro Arcidiacono, trasformato in una macchietta che si rivolge al pubblico in dialetto siciliano, mentre nella visione del regista spagnolo egli rappresentava il destino, un orologio che batteva in tempo che divideva l’amore dalla morte.

Fortunatamente sul palco agiva una compagnia di ottimo livello.

Annalisa Stroppa aveva fortunatamente già vestito i panni di Carmen in questa messinscena a Palma di Maiorca nel 2020 e infatti sapeva gestire perfettamente tutte le difficoltà di uno spettacolo fortemente coinvolgente. Stroppa dipingeva una Carmen magnifica, estremamente femminile nel dominare un mondo dal machismo imperante. E’ una protagonista giovane, in cui fortezza d’animo e fragilità si combattono alla ricerca della libertà. Vocalmente il mezzosoprano (che possiede per natura timbro bellissimo) è raffinatissima nel gioco degli accenti: dalla leggerezza dell’Habanera, alla noia iniziale e poi all’orgiastico entusiasmo finale della Chanson Bohème fino al duetto finale “detto” con intensità teatrale autentica ed appassionante. Se dovessimo scegliere un momento sarebbe la scena delle carte, in cui il trascolorare delle tinte vocali magnetizzava il pubblico.

Accanto a lei Jean-François Borras è un Don José convincente, impegnato nel rendere l’evoluzione psico-emotiva del personaggio sia da un punto di vista teatrale che musicale. Non è sicuramente il tenore eroico o drammatico che forse la partitura richiederebbe in alcuni momenti (ricordiamo che il primo interprete Lhérie passò addirittura a cantare da baritono), così che riluce sicuramente maggiormente nel lirismo del I e II atto.

©Rosellina Garbo

Ruth Iniesta è una splendida Micaëla, capace di ritagliarsi i suoi momenti di gloria, grazie alla cremosità della sua vocalità e alla volitività della sua interpretazione teatrale. Certo, gran peccato (soprattutto quando si ha un’interprete interessante) averle tolto per esigenze registiche il breve recitativo che precede la sua aria.

Bogdan Baciu è un discreto Escamillo, solido nella parte vocale, mentre resta più generico (non a causa sua) come attore.

Il quintetto dei compagni d’avventura di Carmen si rivelava piuttosto compatto (tranne un piccolo intoppo all’inizio del quintetto del II atto) ed era composta dalla Frasquita di Hila Baggio, la Mercédès di Sofia Koberidze, Le Remendado di Carlo Bosi e Le Dancaïre di Nicolò Ceriani.

Bene anche Giovanni Battista Parodi (Zuniga) e Tommaso Barea (Moralès). Completava il cast il torero desnudo di Gaetano La Mantia.

Alterna la direzione di Omer Meir Wellber con momenti molto ispirati (le varie entr’acte su tutti) e altri invece dove si faceva sentire qualche scoordinamento tra buca e palcoscenico e qualche scelta e dinamica non esattamente ordinata, il tutto probabilmente dovuto anche alla concentrazione delle prove in un lasso di tempo relativamente breve.

Il pubblico, pur freddo durante la recita, esplodeva alla fine in calorosi applausi, con punte di vero entusiasmo per Stroppa e Iniesta.

Palermo, 17 settembre 2021

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