Serata di successo a Parma per il concerto di Lisette Oropesa e Francesco Izzo, alle prese con un programma di estremo interesse e varietà che immerge il pubblico nelle atmosfere dei salotti ottocenteschi. Sorpresa nel finale con un piacevole imprevisto…

Conosciuta e amata dal pubblico internazionale ormai da diversi anni, Lisette Oropesa arriva al tanto atteso debutto parmigiano con un interessante concerto all’interno del Festival Verdi: In salotto con Verdi, al fianco di Francesco Izzo, direttore scientifico del Festival, al pianoforte. Come rivela il titolo, il programma intende aprire al pubblico le porte su un mondo fin qui poco esplorato, ovvero quello dei contesti informali e se vogliamo “amatoriali”, ma pur sempre di estrema raffinatezza, che erano i salotti ottocenteschi, di cui Verdi era frequentatore partecipe. Era quello il tempo in cui si trascorrevano lunghe serate all’insegna di creatività e spontaneità, seguendo e costruendo tendenze che attraversavano le capitali europee. Attorno ad un pianoforte si cantava, si suonava, si sperimentava, fondendo temi più profondi a leggerezza e divertimento, alternando e sfiorando spesso e volentieri panorami e territori differenti, come quello operistico, quello sacro, quello strumentale e via discorrendo. L’odierna suddivisione schematica per repertori cui siamo soliti pensare era dunque quasi del tutto assente. Talvolta le composizioni erano semplici dediche e omaggi, più o meno studiati per lo sfoggio di virtuosismi di un’interprete, altre volte si trattava di brani da inserire in album privati di famiglie aristocratiche. Ciò che è certo è che vi era un mercato assai sviluppato di pubblicazioni di tale genere che alimentava le case editrici stimolando la produzione di raccolte anche da parte di compositori come lo stesso Giuseppe Verdi.

©Roberto Ricci

Lisette Oropesa si presenta in un abito di grande eleganza in tutto il suo splendore. La voce è agile, leggera, sorretta da una padronanza tecnica invidiabile che le consente di concentrarsi interamente sull’interpretazione delle contrastanti emozioni trasmesse dai diversi brani in programma. Oropesa riesce nell’intento di trasmettere con estrema sincerità e spontaneità e senza alcuna “costruzione”, tanto sé stessa e il suo amore per quest’arte, quanto il personaggio che, seppur brevemente, è chiamata ad essere in ciascuna aria. Il canto è sempre elegante, il fraseggio raffinato e ogni gesto, sguardo, sospiro, ogni intenzione musicale e non, è al tempo stesso naturale e studiata. Cosa chiedere di più?

La serata comincia dunque con due composizioni di Saverio Mercadante, “La stella” e “La primavera”, cui seguono quattro romanze di Giuseppe Verdi, eseguite per la prima volta nella nuova edizione critica di Carlida Steffan. Si tratta di un excursus tra fasi diverse della vita del Maestro, dalla giovinezza alla maturità: “E’ la vita un mar d’affanni”, “Stornello”, “Chi i bei dì m’adduce ancora”, “Perduta ho la pace”. Segue un salto geografico che ci porta a Franz Schubert ma che si collega con la precedente romanza verdiana per il medesimo contenuto testuale, un passo dal Faust, questa volta in tedesco: “Gretchen am Spinnrade”. Sempre di Schubert, ma questa volta in lingua italiana, “Vedi, quanto adoro”. Di nuovo Verdi, ma questa volta con le sue due uniche composizioni pianistiche, eseguite in maniera pregevole da Francesco Izzo: “Romance sans paroles” e “Valzer in fa maggiore”, celeberrimo per la riedizione che Nino Rota ne fece per il film Il Gattopardo. Continuando a ballare in un immaginario salotto del tempo, il programma conclude la prima parte del concerto con “Valse des belles viennoises” di Luigi Arditi, che coglie il lato più giocoso e malizioso con cui il tema centrale dell’amore veniva di tanto in tanto affrontato.

©Roberto Ricci

La serata prosegue con sei ariette di Vincenzo Bellini, pubblicate nel 1831 da Ricordi e dedicate ad un’amica del compositore, di stampo più malinconico e nostalgico. Sempre a proposito di Bellini, ma ad opera di Donizetti è il brano successivo: un’autentica rarità, “Lamento per la morte di Bellini”, è un’aria-omaggio che il compositore bergamasco scrisse in memoria di quello siciliano. Seguono, dello stesso Donizetti, “Se a te d’intorno scherza” e “L’amante spagnuolo”. Dopo un’intimo “Ave Maria” di Luigi Luzzi è la volta di un nuovo brano pianistico, ovvero la “Mazurca in la minore, op.67 no.4” di Frederic Chopin, appartenente all’album di Charlotte de Rothschild. Degna conclusione del programma sono due pagine a ritmo ternario di bolero, ovvero “L’invito” da “Soirees musicales” di Gioacchino Rossini (1835) e “Merci, jeunes amies”, da Les Vepres siciliennes di Verdi, a rappresentare lo sconfinamento che sovente si verificava nel repertorio operistico nei contesti citati.

La serata però riserva ancora sorprese: sono ben quattro infatti i bis che cingono di successo e di entusiastica passione la serata, tipicamente d’altri tempi. Si comincia con un pensiero ai difficili tempi che stiamo vivendo, con una dedica che passa attraverso “Pietà Signor”, brano di Verdi su testo di Boito, che al tempo fu composto per commemorare le vittime del terremoto in Sud Italia del 1894. E’ poi il tempo della “Promessa” di Gioachino Rossini, ma il pubblico sembra non essere ancora sazio e anzi sempre più affamato, forse speranzoso di poter strappare da Oropesa qualche nota maggiormente celebre dal repertorio operistico. Detto fatto, “Caro Nome”, da Rigoletto, ed è subito la Parma DOC che conosciamo, quella che fa della passione per il proprio figlio più celebre e per la sua musica, un elemento imprescindibile della propria identità. Tutto qui? Ebbene no, ora che l’atmosfera da salotto è davvero raggiunta si conclude con un fuori-programma improvvisato. “E’ strano”, accenna Lisette Oropesa, e la sala si lancia in un applauso scrosciante: la aspettavano ed è arrivata, la celebre “Sempre libera” da La Traviata accompagna verso il finale di concerto un pubblico incantato fino a quando, sulle note del pianoforte che accompagna Oropesa, si fa spazio dal fondo della platea la voce di un giovane tenore, probabilmente uno studente, che con un coraggio ispirato interamente da un totale rapimento e trasporto emotivo, si lancia nell’accompagnamento del soprano a completare il duetto tra Alfredo e Violetta, nello stupore dell’intera sala e della protagonista stessa, visibilmente commossa e felice di questa piacevole sorpresa. Al termine, questa volta per davvero, un’esplosione di applausi corona una serata che, si può dire, verrà ricordata a lungo.

Parma, 7 ottobre 2021

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