Dal 17 al 24 ottobre è in scena al Teatro dell’Opera di Roma Giovanna d’Arco, uno dei drammi giovanili di Verdi. Sul valore e le qualità di questo titolo, molto si dibatte da anni e con giudizi contrastanti, passando da giudizi di feroce critica ad accoglienze più benevole. Ciò detto, è evidente che l’opera è lontana da quei capolavori verdiani in cui musica e libretto vanno a creare quella caratterizzazione psicologica ed umana tale da cesellare personaggi immortali. Eppure Giovanna d’Arco è un titolo che viene, giustamente, eseguito con maggiore fortuna di altri titoli, e ciò perché, forse in nuce, contiene in potenza tutto il portato che sarà l’opera di Giuseppe Verdi qualche anno dopo.

Lo spettacolo, una nuova produzione del Teatro dell’opera, porta la firma di Davide Livermore. Egli concepisce uno spettacolo il cui obiettivo è mettere in scena il dissidio interiore di Giovanna: fra anima e corpo, fra fede e amore, fra terreno ed ultraterreno. Questo concetto è stato brillantemente reso in scena da diversi elementi, primo fra tutti la continua interazione fra cast, coro e corpo di ballo. La protagonista infatti aveva un alter ego, interpretato a Susanna Salvi, che sottolineava la natura scissa della sua coscienza e, inoltre, in tutte le scene erano ben visibili al pubblico le voci e le visioni che Giovanna sentiva e vedeva, i ballerini infatti interpretavano gli angeli e i demoni. In buona sostanza, uno regia ben congeniata che ha saputo partorire uno spettacolo gradevolissimo e ben riuscito partendo da un libretto in cui le scene sono nettamente separate l’una dall’altra e i grandi drammi dei personaggi si risolvono in pochi e brevi passaggi musicali. A conferire, e sottolineare, questa idea di misticità vi erano poi le scene di Giò Forma, un susseguirsi di elementi geometrici curvi e circonferenze concentriche che culminavano nella grande sfera sospesa sul palco nella quale venivano proiettati i video di D-Wok. A completare il quadro vi erano i lodevoli costumi di Anna Verde e le azzeccate luci di Antonio Castro. Ma ciò che ha veramente decretato il successo della serata è stata la lettura, pur molto misurata, di Daniele Gatti, di cui si sono apprezzati su tutti l’esecuzione della sinfonia iniziale e l’apertura dell’atto terzo; e l’eccellente prova del cast vocale.

©Fabrizio Sansoni-Teatro dell’Opera di Roma

Andando in ordine di comparizione, apre l’opera il Carlo VII di Francesco Meli, la cui performance è stata pressoché ineccepibile: la voce da lirico pieno e il timbro bronzeo hanno risuonato per la sala del Costanzi con un volume notevolissimo capace, però, di passare a dei piano e a dei pianissimo di grandissimo effetto, incarnando finalmente l’idea che il piano verdiano sia un concetto piuttosto che una questione di volumi. Meli ha inoltre conferito al personaggio una nobiltà eroica che non stonava affatto con il Re vinto della prima scena grazie ad un’emissione morbidissima. Nel ruolo del titolo si è presentata una strepitosa Nino Machaidze. Risulta difficile, dopo la recita di ieri sera, pensare ad una interprete più adatta per questo ruolo: ella ha infatti incarnato perfettamente, nel corpo e nella voce, la donna guerriera nonostante la grande fragilità emotiva. Dal punto di vista prettamente vocale ha donato al pubblico del teatro una prima aria tutta giocata sul piano e su colori tenui, per poi mostrare tutte le sue potenzialità nelle scene di impeto, in cui spiccavano degli acuti assai sonori e di puro argento.

©Fabrizio Sansoni-Teatro dell’Opera di Roma

Nel ruolo di Giacomo vi era un veterano del Teatro dell’opera, Roberto Frontali, che con l’interpretazione di ieri sera, ha confermato il suo essere interprete di riferimento dei “padri” verdiani. Egli ha infatti dominato perfettamente forse il personaggio drammaturgicamente più debole, rendendolo credibile ed efficace. Completano splendidamente un cast così eccellente il Delil di Leonardo Trinciarelli e il Talbot di Dmitry Beloselskly. Come conclusione va una nota di grande merito al maestro Roberto Gabbiani per la preparazione dell’eccellente Coro; e all’Orchestra del Teatro dell’opera che sotto la direzione del maestro Gatti ha saputo mostrare tutta la sua gamma di colori.

Roma, 19 ottobre 2021

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