Per il quinto concerto autunnale della stagione sinfonica del Teatro Filarmonico di Verona sul palcoscenico regnavano due autori amatissimi legati ad un passaggio fondamentale per la storia della Musica, quello dal Classicismo (e l’interesse verso autori come Bach come nel caso di Mendelssohn) al Romanticismo prima maniera, quello di matrice tedesca ed anglosassone, che possiamo intendere con la definizione “Sturm und drang” o traducibile letterariamente con le atmosfere dei romanzi di Walter Scott.
Nel Concerto n. 5 per pianoforte e orchestra in mi bemolle maggiore, op. 73 Imperatore di Beethoven alle architetture solenni, talvolta militaresche dell’Orchestra, si contrappongono le morbidezze tenui ma limpide della linea del pianoforte, quasi una rappresentazione musicalmente evocativa dell’Arciduca Rodolfo d’Asburgo, il dedicatario del brano e anima divisa tra il ruolo di patrizio, cardinale e arcivescovo e quello di mecenate sensibile alle arti musicali. Nella Sinfonia n. 3 in la minore op. 56 Scozzese di Mendelssohn, la solennità beethoveniana si riversa in un universo gotico, dai toni misteriosi e dai contrasti netti, come i paesaggi della Scozia, che tanto colpirono e ispirarono il compositore, tanto da dedicarvi anche L’ouverture Le Ebridi.
Sul podio dell’Orchestra dell’Arena di Verona debuttava il Maestro Gianna Fratta, la quale convinceva grazie alla pulizia e solidità del gesto, alla giustezza delle intenzioni e alla perfetta intesa sia con la compagine orchestrale che con il solista nella pagina di Beethoven, che altri non era che il brillante Michele Campanella, artista dotato di sensibilità e di rara limpidezza espressiva, che si faceva ammirare lungo tutto il percorso musicale dell’Imperatore. Il teatro seppur non ancora pieno (nonostante la possibilità del cento per cento di capienza), gli tributava un enorme successo, a cui lui rispondeva con ben due bis, sulle note di Schubert e Mendelssohn.