Basterà camminare lungo gli storici corridoi dei palchi del Teatro Sociale di Rovigo per capire e osservare quanta storia del melodramma ha visto questo palcoscenico di questa graziosa e quieta cittadina nel cuore della Bassa Padana: ci circondano i visi dei grandi artisti che sono passati di qui, da Maria Callas (protagonista di un’indimenticata Aida nel 1948) a Renata Tebaldi, che proprio qui fece il suo debutto assoluto nel 1944 come Elena in Mefistofele, alla diva di casa, Katia Ricciarelli, che da commessa all’Upim della città è poi diventata stella del mondo, tornando però sempre a Rovigo, anche su questo palcoscenico (con personaggi come Anna Bolena e Fedora). Ci sono anche numerosi assenti su questi cartelloni commemorativi, assenze piuttosto illustri, dimenticanze, ma non è questa la sede per discuterne. L’importante è la testimonianza di queste fotografie, la dimostrazione di cos’era una volta la provincia, della qualità musicale di questi teatri, dell’affezione straordinaria del loro pubblico e anche della loro illuminata gestione, che permetteva a giovani artisti di farsi le ossa, di confrontarsi con il palcoscenico costruendosi un bagaglio di esperienze che permettessero una solidità artistica tale da poter poi fronteggiare al meglio la grande carriera. L’esatto contrario di quello che avviene oggi, dove prima si canta alla Scala e poi…i risultati si vedono.

Il pomeriggio del 14 novembre il Teatro Sociale riaccendeva le proprie luci su La Traviata, opera amatissima, croce e delizia di ogni spettatore e anche di ogni teatro. Qui c’è il coraggio di proporne un nuovo allestimento (uno sforzo economico sostenuto dai teatri di Rovigo, Padova, Treviso, Lucca e Livorno) con la regia di Ivan Stefanutti, il quale firmava anche le efficaci scene (e proiezioni) e i bellissimi costumi, assistito dagli efficientissimi Filippo Tadolini e Stefano Nicolao. Quella di Stefanutti è una Traviata hollywoodiana, di quella Hollywood degli anni ’20/’30, delle dive ammalianti e fatali. E’ un periodo che stuzzica sempre la fantasia di questo regista (si veda la bella produzione di Adriana Lecouvreur che gira nei teatri italiani da anni con brillante successo ovunque), il quale ce ne restituisce le atmosfere più affascinanti con eleganza e sapienza. Brillante anche il contributo della Compagnia di danza Fabula Saltica (coreografie di Claudio Ronda), essenziale anche per rendere efficace la soluzione “covid” dell’impiego di fantocci da ventriloqui in luogo delle zingarelle e dei matador.

Sul podio dell’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta trovavamo il Maestro Francesco Rosa, bacchetta assolutamente magnifica nel rendere tutte le nuance della partitura verdiana, sostenendo il canto con capacità rara, spingendo gli artisti a dare sempre del proprio meglio (esemplare è la seconda parte dell’aria di Germont pére, tutta giocata sul pianissimo e sostenuta meravigliosamente dall’inteprete, Leo An). L’unico appunto che gli si può fare è qualche taglio di troppo per “l’epoca dell’integralità” che stiamo vivendo, ma è tutto perdonabile in virtù del vero senso di teatro che Rosa possiede. Preferiamo questo che al freddo asettico di un’esecuzione strumentalizzata a enunciare “Verdi voleva così”. Buona la prova del Coro Lirico Veneto diretto dal M° Giuliano Fracasso.

Sul palcoscenico un cast da grande teatro. La protagonista, Claudia Pavone, è, nonostante la giovane età, già una specialista di questo ruolo, e se nel I atto palesa qualche difficoltà di troppo nel sostenere la scrittura della Violetta prima maniera, si riscatta negli altri due atti, dove mette in luce una certa sensibilità e una pulita espressività.

Gianluca Terranova appariva purtroppo in cattiva forma vocale, non riuscendo a ripetere qui i felici esiti di uno dei personaggi, Alfredo, che più frequentemente ha affrontato. Il tenore appariva spesso a disagio nel sostenere la tessitura vocale di un ruolo solo apparentemente semplice.

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Trionfatore della serata e vero mattatore era il Giorgio Germont del baritono coreano Leo An, voce di bellissimo colore brunito, invidiabilmente sicuro su tutta la gamma dal grave all’acuto e dotato anche di eccellenti capacità interpretative, sfruttate a dovere per rendere le evoluzioni di questo personaggio, tratteggiandone sì il lato monolitico e severo, ma mettendone in evidenza anche la mal celata umanità.

Più infelice la definizione dei ruoli di fianco, dove solo una garanzia come William Corrò nei panni del Barone Douphol emergeva. Tuttavia ricordiamo l’efficace contributo di tutti, Michela Bregantin (Annina), Andreina Drago (Flora), Emanuele Giannino (Gastone), Francesco Toso (Marchese d’Obigny), Michele Zanchi (Dottor Grenvil), Roberto Capovilla (Giuseppe), Giovanni Bertoldi (Commissario) e Giuseppe Nicodemo (Domestico).

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