Grande successo all’Auditorium Agnelli di Torino per la trasferta del Teatro Regio che ha portato Aida di Giuseppe Verdi nel cartellone del Regio Metropolitano. L’occasione, oltre a celebrare i 150 anni dalla prima assoluta del capolavoro verdiano, è stata funzionale al ricordo di Enrico Caruso nel centenario della sua scomparsa. A tal proposito l’esecuzione è stata preceduta dall’ascolto di una splendida registrazione di “Celeste Aida” eseguita dal tenore partenopeo.
Aida è qui eseguita in forma concertata da Pinchas Steinberg, direttore israeliano già asceso alle ribalte del teatro torinese con l’inaugurazione della Stagione d’Opera e Balletto 2005, battezzata proprio dall’Aida. Non tanto una novità, dunque, quanto la riscoperta di un esecutore consapevole, capace di restituire a un capolavoro maestoso la paletta di colori necessaria, in condizioni evidentemente complicate dalle forme esecutive concertate. Complici sono l’Orchestra e il Coro del Teatro Regio di Torino, la cui splendida forma è indubbiamente garantita dal lavoro che Andrea Secchi svolge da tempo sulle voci corali, che in un simile capolavoro non possono mostrare deficit. Steinberg offre un suono netto e pulito, vivo nell’intimità dell’Aida, spesso adombrata dalla sua maestosità ma qui sapientemente messa in risalto.

Il ruolo della protagonista è riservato a un’Angela Meade che non delude, grazie alle qualità vocali che la rendono ideale per questo tipo di ruoli, ma non sempre dimostra quella ricercatezza espressiva che fa della direzione di Steinberg un vero gioiello. Apprezzata la presenza scenica capace di sottolinearne la consapevolezza drammaturgica. Anna Maria Chiuri dà prova di sé nel ruolo di una Amneris estremamente studiata ed espressiva, di cui si apprezza soprattutto la portata drammatica che restituisce al proprio personaggio. Emerge soprattutto verso il finale dell’esecuzione, analogamente a quanto accade per il Radames di Stefano La Colla, di cui spiccano la caratterizzazione e il volume, ma che qualche carenza in acuto. Molto buono, infine, Amartuvshin Enkhbat che costruisce un Amonasro limpido e profondo, maestoso anche se talvolta eccessivamente monocorde. Bene anche Dmitry Belosselskiy nei panni di Ramfis, il Re di Antonio di Matteo, la sacerdotessa di Ashley Milanese e il messaggero di Francesco Pittari.
Un’esecuzione estremamente soddisfacente che conferma la qualità delle ultime produzioni torinesi.