Nelle scorse settimane siamo stati invitati all’esecuzione in forma scenica di un’opera contemporanea dal titolo La Memoria di Medea del compositore triestino Stefano Sacher. Un’ora intensa dove la forza e la qualità della musica hanno toccato livelli molto alti: i giovani protagonisti locali hanno saputo ben emozionare il pubblico presente in sala (e anche noi), così abbiamo fortemente voluto presentarvi questo autore.
Innanzitutto la ringraziamo per il suo tempo maestro e cominciamo con le nostre domande: Chi è Stefano Sacher? Come si è avvicinato alla composizione?
Un saluto a tutte e tutti. Mi sono avvicinato alla musica quasi casualmente verso i 13 anni, grazie a delle lezioni di pianoforte impartitemi privatamente dal pianista jazz Silvio Donati.
Dato che non ero giovanissimo per studiare pianoforte, Donati mi ha consigliato e quindi preparato per entrare nella classe di Composizione del Conservatorio Tartini, dove ho studiato anche Canto e Direzione di Coro. Quindi mi sono diplomato in Direzione d’ Orchestra al Conservatorio di Bologna e ho conseguito il biennio specialistico di Composizione al Tomadini di Udine. Mi sono laureato in Lettere all’Università di Trieste con una tesi sulla musica cinematografica di Sergej Prokofev.
Cosa significa per Lei comporre ai giorni d’oggi?
Il compositore contemporaneo deve essere curioso e interessato a ciò che avviene nel mondo in cui vive. Non si tratta di impegno politico come lo si intendeva decenni fa, ma di conoscenza dei processi culturali, scientifici, artistici a lui contemporanei.
Tornando alla figura del compositore, egli deve conoscere anche la produzione musicale extra-classica che viene proposta dai media. Deve essere quindi in grado di sapere scrivere un quartetto d’archi, ma anche un rap, una canzone pop o la sigla di una trasmissione radiofonica.
Nel suo catalogo è presente appunto anche l’opera La memoria di Medea, ci racconta come è nata? Che difficoltà ha trovato nella scrittura di un’opera? Cosa significa comporre un’opera nel 2000?
Sono sempre stato attratto dalla voce e dalla narrazione teatrale. Alcuni anni fa avevo assistito al monologo La memoria di Medea, scritto originariamente da Ugo Vicic per la grande attrice triestina Lidia Coslovich/Kozlovic, nel frattempo purtroppo deceduta e quindi interpretato da un’altra attrice. Il mito di Medea rivisitato da Vicic e affidato a una sola voce femminile mi aveva subito rapito e mi aveva spinto a chiedere a Ugo di aggiungere un paio di personaggi maschili per poterla poi concepire nella veste a me più congeniale di Teatro musicale. Quindi mi sono messo al lavoro e in un anno, ho terminato la composizione di Medea.
Cosa significa confrontarsi con una macro-struttura com’è quella dell’opera?
L’opera è la sintesi di più livelli musicali. Vi è la storia, il dramma, il canto, la presenza di un’orchestra, gli elementi impliciti e nascosti. Ho avuto la fortuna di conoscere, e quindi di diventare amico e assistente del grande compositore Antonio Bibalo, nato a Trieste nel 1922 e morto a Larvik, in Norvegia, nel 2008. Autore squisitamente teatrale e narrativo, anche nelle sue composizioni strumentali e orchestrali, Bibalo mi ha comunicato la grande passione e il grande lavoro che sta dietro a un’opera. La mia conoscenza e il forte interesse verso questo genere li devo principalmente a lui. Un’altra presenza importante è stata quella con colui che reputo il maggiore compositore del secondo Novecento europeo, Hans Werner Henze, che ho incontrato a casa sua, sui colli romani, e che mi ha illuminato su altri aspetti della composizione operistica.

Secondo lei quali sono i “bisogni” principali della nuova musica? Che bisogno sente un compositore quando vuole comporre un brano macro-strutturato? Secondo lei che si aspetta invece un ascoltatore quando si siede in platea per un ascolto “nuovo?
Domande difficili. La nuova musica deve comunicare, deve avere senso, deve poter essere condivisa con il pubblico. E’ fortunatamente alle nostre spalle il periodo storico in cui si accusava il pubblico di non capire la “meravigliosa Nuova Musica”. Ho avuto scontri specialmente con compositori italiani che mi accusavano di aver composto all’interno di una composizione una “quinta giusta”, poiché. A parer loro, era ormai vietato e bandito. Sono contento e convinto di aver proseguito con il mio linguaggio stilistico-musicale. Le macro-strutture in campo sinfonico-orchestrale hanno logiche diverse da quelle di un’opera. Sono più complesse e difficili da affrontare e presentare al pubblico.
Il teatro musicale è, invece per me, ancora vivo e può dare e dire tanto.
Mi piace sempre terminare le mie interviste con una domanda particolare, se avesse l’opportunità di incontrare un personaggio particolare della storia della musica chi sarebbe e perché?
Sicuramente Wolfgang Amadeus Mozart! Gli avrei chiesto come avesse fatto a scrivere così tante composizioni, tutti capolavori assoluti, in così breve tempo. Scherzo, però Mozart è un vero mistero!
Aspettiamo l’occasione di seguirla nelle sue prossime avventure e composizioni!