Spesso ci perdiamo nel parlare del canto come “fatto” tecnico, relegandolo all’atto meccanico dell’emissione o della qualità dell’acuto o della coloratura. In realtà il canto è gioia, è rivelazione di sé stessi attraverso le note: il segno sulla partitura che attraverso il corpo diventa emozione ed arriva come creatura viva al pubblico. Così bene ce lo spiega il giovane soprano Silvia Lee, coreana, allieva del leggendario mezzosoprano Bruna Baglioni, una brillante carriera davanti a sé e tanta speranza e fiducia nella musica.
Com’è nato il tuo amore per il canto?
Sono cresciuta nell’ambiente musicale ascoltando la musica classica e da piccola ho sempre cantato, e suonavo il violino (perché mio padre è violinista, anche mia madre studiava pianoforte e composizione). Mentre studiavo il violino seriamente, cantavo sempre per divertimento. In vista dell’ammissione alla scuola media artistica però, io, mio padre e mia madre abbiamo dovuto decidere di non scegliere il violino come strumento, perché mi la resina di pino mi causava l’eczema, così nel prendere quella decisione io dissi: “il canto”. Penso che forse già da piccola il mio destino era cantare. E finora il mio amore per il canto non si spegne.
Raccontaci un po’ della tua formazione e delle tue esperienze in Italia.
Ho cominciato a cantare a 12 anni entrando alla scuola media artistica in Corea. Ho avuto la fortuna di debuttare al teatro dell’opera da piccola in Corea e ho sentito sempre qualcosa dentro di me, la passione di esprimermi sul palco. Questa passione è esplosa e si sta perfezionando qui in Italia: mi sento più libera cantando sul palco, così mi esprimo completamente. Dal conservatorio sono arrivata sul palco del teatro, e devo ringraziare davvero a tutte le persone che mi hanno aiutato, hanno creduto in me e hanno tirato fuori l’arte da me. Nei primi tempi non era facile cantare in italiano davanti al pubblico italiano, dove è nata l’opera. Ho pensato che non bastava prepararsi al cento per cento, dovevo prepararmi di più. E questo lo penso tuttora. L’arte e la musica mi fanno volare, io sento e penso la musica intensamente. Tutte le mie esperienze artistiche in Italia sono state un prezioso nutrimento.
Quali sono le sensazioni dell’esperienza di studio con Bruna Baglioni?
Lei è il motivo per il quale sono venuta in Italia. Nel 2011 quando sono venuta a fare un concerto in una chiesa l’ho conosciuta: ero giovane, non potevo capire tutto, ma da quel momento l’idea era sempre quella di tornare a Roma dalla maestra Baglioni. Lei era fermamente scolpita nel mio cuore e radicata nella mia mente. Con la maestra Baglioni si impara la tecnica, l’anima dell’opera italiana e dell’arte italiana. Lei ti segue sempre con pazienza e poi insegna e guida ciascuno individualmente in modi diversi, in base alla voce e alla personalità, costruisce il lavoro con noi giovani studenti. Questo ho potuto apprenderlo ancora di più partecipando sempre alle sue masterclass. Nel mio caso quando ero in un momento difficile sia mentalmente e sia fisicamente, mi ha aspettato pazientemente e mi ha insegnato con affetto. È stata la mia forza motrice che mi ha aiutato a recuperare più velocemente e a crescere di più. Lei è una brava cantante e una leggenda ma devo dire che lei è anche una bella persona dentro. Dico sempre che lei è la mia mamma italiana.
Quali sono i tuoi consigli ai giovani che si avvicinano allo studio del canto lirico?
Secondo me per cantare serve tutto: il corpo, l’anima, le sensazioni e le esperienze della vita. Non si può cantare solo con la voce, perché c’è anche il testo a cui dare una vita oltre la musica. Il consiglio che vorrei dare per affrontare lo studio del canto lirico è quello di riempire il cuore e la mente di cose belle. Certo, dobbiamo imparare bene prima di tutto a leggere lo spartito e a capire il testo, questi sono gli aspetti principali. Ma non bastano. Cantare è l’unico modo che abbiamo per realizzare la musica con il nostro corpo e il nostro spirito, non attraverso altri strumenti, quindi attraverso il canto si rivela il nostro io interiore. Pertanto, vorrei dire che per trasmettere una bella musica, è essenziale vivere per diventare una bella persona: come attingere acqua pulita da una sorgente pulita. E poiché le esperienze difficili della vita sono anche esperienze preziose che vengono ricreate nella musica e nel canto, consiglio di sopportare e amare ogni giorno della nostra vita con la musica, così in questo modo, possiamo comunicare agli altri la vera bellezza e l’amore per l’arte attraverso la musica, confortarsi attraverso la nostra voce e dare emozioni agli altri. Penso che questa sia la virtù e il dovere di un cantante.
Sei stata poco più di un mese fa Nomine nella prima rappresentazione assoluta di Jelin di Aldo Brizzi al Teatro di Alessandria. Raccontaci dell’emozione di creare un nuovo ruolo da zero e di questa produzione.
Questa opera è la storia del pastore, Gelindo, qui chiamato Jelin. La “Divina commedia” come viene chiamata in piemontese questa storia (Divòta Cùmedia) diventa opera lirica. Vi si racconta il viaggio di Gelindo, che è stato nella leggenda il primo testimone della nascita di Gesù Cristo. Il mio ruolo era quello di Nomine, suo figlio. Prima di tutto per capire questa nuova opera ho dovuto capire la storia e poi con il compositore Aldo Brizzi e la regista Cornelia Geiser abbiamo creato tutto insieme da zero. Non è facile costruire un personaggio senza nessun parametro di riferimento, ma abbiamo parlato tanto e condiviso idee, pensieri riuscendo a creare ciascuno il proprio ruolo. Ho potuto scoprire in ogni momento delle nuove cose per fare Nomine e il processo è stato davvero piacevole, soprattutto perché sono stata la prima persona a creare Nomine. È il ruolo di un ruolo di bambino curioso e pieno di vivacità che mi calza a pennello e ha la caratteristica di unire i due mondi di questa vicenda. Porta nell’opera il mondo dell’infanzia, il suo coraggio e la sua mancanza di pregiudizi. Naturalmente senza l’aiuto del Maestro Aldo Brizzi, di tutto il suo team e di tutti i signori del comitato promotore, nonché del sostegno della Sig.ra Angelica Frassetto, che ha una grandissima esperienza nel nostro settore, essendo parte dell’Impresa Lirica Tamagno, non avrei potuto farlo. E’ stato un lavoro creato da tutti, lavorando insieme in ogni processo sia musicale che amministrativo. In questo modo ho davvero capito quante professionalità sono necessarie per creare un’opera. Voglio dire che nei panni di Nomine mi sono divertita molto come se tornassi bambina ed è stato un momento in cui ho appreso tanto da tutti e in molti modi.
Un’altra prima assoluta ti ha visto protagonista al Teatro del Giglio di Lucca, come Fata nel Pinocchio di Aldo Tarabella: come ti sei trovata in questa nuova partitura?
Per raccontare l’avventura del mio Pinocchio, vorrei tornare in dietro un momento alla preparazione dell’audizione per quest’opera. Appena ho ricevuto le parti della Fata, per capire la base e per comprendere la musica ho cominciato a leggere la fiaba di nuovo. Voglio ringraziare molto il maestro Sergio La Stella di avermi aiutato a partire con il piede giusto. Inoltre anche se noi non ci siamo potuti incontrare dal vivo a causa del lockdown, a novembre (2020) abbiamo avuto anche una riunione tramite Zoom con il maestro Aldo Tarabella. Lui ci ha spiegato da dove e a cosa si è ispirato, ci ha raccontato tutta la sua idea, e così piano piano la Fata è nata dentro me. Successivamente mi sono ispirata anche alla cinematografia e ovviamente al romanzo di Collodi, pur non volendo imitare nessuno. D’altronde anche il maestro Tarabella ha creato una sua visione di questo capolavoro letterario e dei suoi personaggi. Lui voleva tirare fuori dalla Fata un carattere forte, quasi più simile ad un padre, mentre Geppetto, colui che sacrifica tutto sé stesso per la famiglia si avvicina maggiormente alla figura materna. La Fata è più severa e spesso rimprovera Pinocchio, ma sempre con affetto. Le scene sono ridotte rispetto all’originale ma sono molto chiare nell’accompagnare il viaggio di Pinocchio. Per legare ciascuna scena abbiamo creato dei legami con il movimento e la musica, e ci siamo ispirati e influenzati gli uni con gli altri, seguendo le idee di Aldo Tarabella. Attraverso la musica ha acquisito una profondità anche maggiore dell’originale. Aldo Tarabella ci ha fatto allargare i confini del nostro pensiero. Musicalmente la Fata ha un’aria ed è il ruolo più melodico dell’opera. La linea di canto è molto delicata e arcana, quindi mi sono concentrata sul realizzare proprio con questa armonia la mia fata turchina. L’ho interpretata con le idee che mi sono nate dopo aver sentito l’ispirazione del compositore e con i movimenti che mi venivano naturali ascoltando profondamente la sua musica. Nell’opera si possono sentire anche altri generi musicali : R&B, il Rap, la Tarantella e le fanfare musicali, in cui emerge l’aria lirica della Fata con dei bimbi favolosi. Tutto questo incanto mi faceva veramente muovere e cantare in un modo misterioso e trasognato. Nelle scenografie colorate, fiabesche e nei costumi stupendi mi sono davvero divertita e anche se sono una Fata “adulta” mi sono sentita bambina anche io. Abbiamo vissuto e creato un’avventura piena di calore umano e di risate!
Quali sono i ruoli che speri di affrontare nel futuro?
Mi piacciono tutti i ruoli che ho cantato: ruoli capricciosi, drammatici, seri, divertenti ecc. Ho sempre la passione di provare repertori nuovi, anche contemporanei. Spero di cantare tanti ruoli nei quali posso trasmettere la mia arte, il mio amore per la musica. Vorrei sinceramente condividere tutto quello che ho, e in questo senso sono pronta di eseguire qualsiasi ruolo. In ogni momento mi sviluppo come uno strumento che comunica con la musica e tramite la mia performance, e spero che il pubblico si diverta, pianga, rida e veda la speranza in me.
Grazie a Silvia Lee e Tantissimi In bocca al lupo!