Rigoletto, ovvero una lezione dell’anatomia umana: così il regista Arnaud Bernard filtra attraverso la sua sensibilità l’opera di Verdi desunto dal dramma di Hugo, nell’apprezzata messinscena ripresa per la terza volta al Teatro Filarmonico di Verona. Il sipario si apre sul Duca e i suoi cortigiani intenti ad analizzare un corpo umano e a praticare esperimenti sulla gobba di Rigoletto. Le belle scene di Alessandro Camera ricreano un teatro anatomico, come quello di Palazzo del Bo, bella vicina Padova, un luogo dove gli esseri umani diventano caso di studio. Al centro di esso appaiono i topos fisici della geografia verdiana, con il grande coup de théâtre della barca dell’ultimo atto, che genera ancora sorpresa negli spettatori.

Questa visione dai profondi sottintesi e sottotesti analitici sembra essere condivisa pienamente dall’interprete del ruolo del titolo, il baritono Luca Micheletti, che riesce nella difficilissima impresa di coniugare le richieste verdiane, la nostra sensibilità moderna nella lettura di queste e la tanto amata tradizione, spesso dileggiata, ma alla quale invece sarebbe necessario portare più rispetto. Micheletti è un vero istrione, un attore che possiede la scena completamente e un cantante che scolpisce ogni parola e ogni sfumatura semantica con una forza di persuasione difficilmente riscontrabile. Il suo Rigoletto conquista, avvince e commuove, costruendo una parabola interpretativo-vocale assolutamente ammirevole.

©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Gli è alla pari il Duca di Mantova di Ivan Magrì, splendido per il temperamento vitale, ma anche per la cura vocale posta in ogni suo momento. Vince facile ne “La donna è mobile” grazie alla naturale esuberanza dei mezzi e del temperamento, ma dove davvero raggiunge il suo momento migliore è il recitativo e l’aria che aprono il II atto, “Ella mi fu rapita…Parmi veder le lagrime”, cesellata a regola d’arte.

Chiude il terzetto delle interpretazioni più riuscite lo Sparafucile di Gianluca Buratto, vera voce di basso come ormai non se ne sentono, che affronta con giusto piglio e con vincente senso del fraseggio il personaggio di Sparafucile.

Non convince la Gilda di Eleonora Bellocci, la quale possiede voce di soprano leggero che la consacrerebbe a ruoli di soprano soubrette, mentre rimane decisamente al di sotto delle richieste vocali del ruolo verdiano, riscattandosi parzialmente solo nel finale.

Completano adeguatamente la compagnia di canto la Maddalena di Anastasia Boldyreva, la Giovanna di Agostina Smimmero, il Conte di Monterone di Davide Giangregorio, i Marullo e Borsa di Nicolò Ceriani e Filippo Adami, il Conte e la Contessa di Ceprano Alessandro Abis e Francesca Maionchi, l’usciere di corte di Nicolò Rigano e il paggio di Cecilia Rizzetto.

©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

La direzione del maestro Francesco Ommassini non si può dire del tutto risolta: seppure da una parte ritroviamo il vincente senso teatrale che da sempre riconosciamo a questo direttore, abbiamo però riscontrato qualche scelta agogica non sempre coerente. Il suo è un Rigoletto che precipita verso il finale senza respiri. E’ una lettura che troviamo del tutto condivisibile, ma che forse avrebbe avuto bisogno di un’ulteriore limatura. Grande merito quello di aver riaperto tutti i tagli. Ottima la prova dell’Orchestra e del coro diretto dal maestro Ulisse Trabacchin.

Grandissimo trionfo per tutti con un Teatro Filarmonico finalmente pieno, probabilmente per la popolarità del titolo.

Verona, 6 marzo 2022

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