La volontà di intervistarla risale al 2016, quando al Teatro Verdi di Trieste ha diretto una splendida Sinfonia Italiana di Felix Mendelssohn-Bartholdy. Dopo quel concerto, Valentina Peleggi è cresciuta tantissimo, affermandosi su numerosi palcoscenici internazionali. Adesso è nuovamente a Trieste per la stagione lirica del Teatro Verdi con Rigoletto di Giuseppe Verdi: l’abbiamo incontrata in un caffè storico, dove parole, cultura e arte si fondono con grande naturalezza.
Le nostre interviste cominciano sempre con una domanda apparentemente semplice: Maestro Peleggi, cosa ci racconta di Lei?
Mi piace descrivermi come una persona entusiasta e totalmente immersa nella musica. Da piccola suonavo, prima il violino e poi il pianoforte, ma ho capito che non era la mia strada. Poi per caso ho cominciato a cantare nel coro di voci bianche della scuola di musica di Fiesole, che spesso collabora con il Maggio Musicale Fiorentino. Una volta mi trovavo proprio al Maggio per le prove dei Carmina Burana: ero sul palcoscenico insieme all’orchestra e al coro, e a dirigere era Zubin Mehta. In quell’occasione ho percepito di essere parte di qualcosa di molto più grande di me. Ero totalmente affascinata e rapita da quella musica che mi avvolgeva. Ho visto spesso il Maestro Mehta dirigere al Maggio, e anche grazie a lui ho deciso di studiare per diventare direttore d’orchestra: la mia formazione come direttore è avvenuta all’Accademia di Santa Cecilia e all’Accademia Chigiana, oltre a essere stata direttore artistico del Coro Accademico di Firenze per dieci anni. Quest’ultima esperienza è stata particolarmente formativa: è gratificante vedere un progetto a lungo termine che cresce davanti ai tuoi occhi. Si tratta di qualcosa di ben diverso rispetto all’essere direttore ospite che, una volta concluso un progetto, si sposta in un altro teatro. Il Coro Accademico mi ha fatto capire quanto lavoro e quante responsabilità ci sono dietro ogni singolo progetto musicale.

Come ha trascorso il periodo della pandemia? è riuscita a svolgere attività musicale oppure si è dovuta fermare completamente?
A marzo 2020 mi trovavo a Richmond per le selezioni per diventare direttore musicale della Richmond Symphony Orchestra. A causa della pandemia le selezioni sono state interrotte, quindi sono ritornata a Londra, dove vivevo, per un mese. Quando ho ricevuto la comunicazione di avere ottenuto il posto come direttore musicale a Richmond, vi sono rientrata ad aprile. In quel periodo così incerto, pianificare una stagione concertistica con l’orchestra e con il coro non era cosa semplice, soprattutto perché a Richmond sono molto attivi, hanno ben cinque organici giovanili. Dal punto di vista artistico è sempre importante poter proseguire con l’attività, anche quando ci si trova in un momento storico difficile e complesso. Una delle grandi difficoltà da affrontare è stata la distanza fisica tra gli orchestrali, che sono abituati a suonare gomito a gomito, a respirare insieme e a percepire le dinamiche e l’insieme in modo diverso. La nostra fortuna è stata poter portare avanti una grande attività in streaming, soprattutto per il nostro pubblico: si è rivelata una buona soluzione per tenerci vicino anche il pubblico “fedele” al teatro, che ci segue sempre. Gli spettatori non potevano venire fisicamente a teatro, ma potevano seguire i concerti in streaming. Grazie alla tecnologia, la nostra scuola di musica si è trasferita anche nel mondo digitale: i musicisti dell’orchestra tenevano lezioni online di vario tipo, sia strumentali che teoriche. Dal 2021 il numero di musicisti presenti sul palco è potuto salire, quindi abbiamo optato per i concerti con programmi a sezioni di strumenti (solo archi, solo fiati o altre opzioni simili): questa attività viene tuttora mantenuta perché… serve, sia al teatro per fare attività che ai i musicisti per suonare programmi differenti. Nella stagione abbiamo inserito tanta musica da camera anche all’interno di un programma di concerti nelle aree metropolitane: è nata l’idea di portare i concerti nelle birrerie, in cui a ogni birra corrispondeva un brano del programma abbinando ciò che si gusta a ciò che si ascolta: questa è la magia della sinestesia.

Per tanti anni il suo percorso musicale l’ha portata a dirigere in Brasile: cosa ci racconta di quell’esperienza?
Quella in Brasile è stata la mia prima grande esperienza professionale all’estero, ho vissuto là per cinque anni. Stavo concludendo il mio Master alla Royal Academy of Music of London e sono andata a San Paolo per una masterclass con la São Paulo Symphony Orchestra. Al termine delle tre settimane sono stata segnalata come miglior direttore e mi è stato assegnato il compito di occuparmi della direzione di alcuni concerti per ragazzi. Dopo un mese, il direttore del teatro mi ha chiesto se potessi restare a San Paolo ancora una settimana in sostituzione di un altro direttore all’ultimo momento. Ho accettato ed è andato tutto molto bene! Da quel momento sono sempre tornata a San Paolo, prima come direttore assistente e poi come direttore in-residence. Oltre a fare da “cover” da direttore, ero io a gestire le prime prove con l’orchestra. Anche a San Paolo ho diretto il Coro come direttore principale , che è uno dei miei grandi amori. A malincuore però ho deciso di lasciare l’incarico per trasferirmi nuovamente a Londra, dove ho lavorato per altri due anni con l’English National Opera.
Come si prepara per i concerti? Come avviene l’approccio a una nuova partitura?
Attualmente avviene molto di rado che io diriga una prima assoluta. Solitamente, il mio studio comincia ascoltando l’opera senza leggere la partitura e cercando di capire solo dalla musica che cosa mi aspetta: è fondamentale che questo primo passaggio avvenga prima di cominciare a studiare, in modo da avere un primo ascolto il più neutro possibile. Dopodiché inizia la fase di studio della partitura, che avviene senza abbinare l’ascolto: mi suono o mi canto tutta l’opera da cima a fondo senza ascoltare altre registrazioni. Solo alla fine mi dedico all’interpretazione della partitura a tutto tondo, integrando tutto ciò che ho imparato fino a quel momento.
Quali sono i titoli che ama maggiormente?
Dire Rigoletto in questo caso suona quasi scontato! (ride, ndr) A parte gli scherzi, non ho un’opera preferita, non ho un “vorrei tantissimo dirigere questa o quell’opera”. Ci sono tantissime composizioni che mi fanno emozionare, ma io cerco sempre di dare il massimo in qualsiasi situazione e qualunque sia l’opera che devo dirigere, sia essa lirica o sinfonica.

Che rapporto ha con la musica contemporanea? Le piace eseguirla?
Mi piace la musica contemporanea, ma… selezionandola molto. A Richmond commissioniamo molti lavori nuovi: in questo periodo stiamo lavorando alla trascrizione per orchestra di diversi Lieder di Alma Mahler. Sono sempre molto attenta ai progetti che prendono avvio e li seguo, lasciando comunque lo spazio necessario. Non puoi non affezionarti ai progetti che crei! Ritengo anche che sia fondamentale la scelta dei collaboratori, che costituiscono una parte importante nella buona riuscita del prodotto finale.
Noi solitamente chiudiamo le nostre interviste con una domanda. Chiediamo al nostro ospite: se potesse incontrare un grande artista del passato, chi sarebbe e perché?
In questo caso non ho alcun dubbio: Giuseppe Verdi! Sono estremamente curiosa, è uno dei compositori che mi affascina di più: in pochi hanno un’onestà di scrittura come la sua. Vorrei capire se le sue opere come le eseguiamo noi adesso riflettono quella che era la sua idea dal punto di vista musicale.
Quando si parla di arte, si perde completamente la concezione del tempo. Ringraziamo Valentina Peleggi per questa intensa ora di condivisione di pensieri. Aspettiamo con impazienza di vederla dirigere Rigoletto dal 6 maggio.
Cecilia Zoratti e Matteo Firmi