“[…] ma quando la storia attraversa periodi di disorientamento generale, questo tipo umano riaffiora, e riporta in primo piano il nichilismo, la frenesia auto-distruttiva, l’odio per il mondo e per se stessi, nel medioevo, nel romanticismo, oggi” (Dal saggio sul libretto di sala I turbamenti del giovane Verdi, A. Rostagno, p. 142). Parliamo di Ernani, personaggio fortunatissimo, nato dalla penna di Victor Hugo e che ha rappresentato una intera generazione, quella dei ragazzi degli anni ’30 dell’800, disorientata, con il fuoco dentro di sé, con la voglia di rivoluzione, che sa qual è il nemico da abbattere, ma non quale direzione prendere. Così viene tratteggiato Ernani in Hugo: “io sono una forza che tutto travolge, un’entità cieca e sorda che conduce a funebri misteri, un’anima infelice fatta di tenebre oscene! Non so dove sto andando. Mi sento spinto da un vento impetuoso, da un destino indecifrabile: continuo implacabile a scendere, senza fermarmi mai.” E infatti così Piave – primo lavoro del librettista insieme a Verdi, che invece per la prima volta esce dal contesto milanese – lo dipinge per la musica del cigno di Busseto: “Sono il bandito Ernani/ odio me stesso e il dì” (Atto II, scena 3). Questa forza cieca, dirompente, negativa nell’Ernani che va in scena in questi giorni al Teatro dell’Opera di Roma, alle volte sembra infrangersi contro una scenografia tanto imponente quanto invasiva, tanto da costringere la regia di Hugo de Ana a una staticità molto pronunciata e a pochissimi movimenti di scena singoli da parte dei protagonisti del dramma. Le scene di insieme riportano invece una grande coordinazione e una pregevole organizzazione. Viene mantenuta la storicità del dramma, con i costumi ispirati al ‘5-‘600 fiammingo, che prendono ispirazione dagli arazzi di Rubens e di altri autori fiamminghi, che vengono proiettati, come in esergo all’inizio di ogni atto, sul grande telo semi trasparente che fa intravedere la scena. Anche le luci sono molto accurate e nel corso dei primi tre atti tendono a scurirsi in concomitanza dello scendere in profondità nell’anima oscura di Ernani. “Le raccomando brevità e fuoco”.

Sembra prendere spunto da queste poche ma significative parole di Verdi a Piave (in una lettera del 2 ottobre del 1843, mentre lo scrittore scriveva il libretto) il Maestro Marco Armiliato; la direzione dell’orchestra del Teatro dell’Opera di Roma è fluida, si adatta ai momenti, è fina e leggiadra nelle scene più malinconiche e dolci ed è densa e potente invece nei momenti di maggior vigore e concitazione. In tutta la serata la conduzione musicale del direttore italiano di casa al Metropolitan di New York, si è distinta per la sottolineatura alle grandi fiammate melodiche presenti nella partitura dell’Ernani di Verdi, mettendo in mostra e sostenendo, soprattutto, le passioni dei tre protagonisti maschili, che hanno tenuto bene il palco. Non poteva essere il contrario d’altronde, dato il cast di altissimo livello, necessario per poter realizzare un’opera come quella in scena in questi giorni al Costanzi, non si può che fare dunque i complimenti a tutti i personaggi, ai principali e al coro. Partendo da Silva, interpretato dal basso Evgeny Stavinsky, che risulta completamente all’interno della sua parte vocale e attoriale e che ha regalato al pubblico romano una performance impeccabile, apprezzata e riconosciuta negli applausi finali. Grandi acclamazioni invece per Don Carlo ovvero per il baritono Ludovic Tézier che pur peccando un po’ di espressività attoriale ed espressiva, compensa il tutto con la sua voce potente, precisa ed equilibrata, che riesce a strappare grandi applausi oltre che al pubblico anche al direttore d’orchestra, in occasione del’aria “Oh de verd’anni miei”.

Allo stesso modo Elvira, il soprano Angela Meade, risulta eccezionale come presenza vocale, decisione e precisione dell’emissione sonora, tanto da prendersi anche lei i grandi applausi del Teatro Costanzi. Infine Ernani, interpretato dal tenore Francesco Meli, è sembrato essere un po’ in difficoltà nei primi due atti, soprattutto sul finale della cavatina “Come rugiada al cespite” e della cabaletta relativa; negli ultimi due atti però riesce a riprendere il polso della situazione e a chiudere una performance in linea con le aspettative del suo nome.
Roma, 7 giugno 2022