Il 3 luglio è andata in scena la seconda, e ultima recita del Don Giovanni di Mozart presso il Teatro Comunale di Ferrara. La serata a cui si fa riferimento vedeva impegnata la seconda compagnia di canto nella nuova produzione del teatro in collaborazione con la Korea Foundation/Daegu Opera House. Il progetto da cui nasce la produzione vede, come firma musicale, la mano di Leone Magiera, il quale ha preparato le due compagnie di canto durante il mese di giugno.
Il tratto essenziale del progetto registico ideato e creato da Adrian Schvarzstein, che si è potuto avvalere nella messa in scena della collaborazione di Moni Ovadia, è ambientare la vicenda in un Circo. Don Giovanni è un domatore di una compagnia circense itinerante, giunta a Ferrara. Leporello è il clown, il Commendatore è l’impresario, Donna Anna e Donna Elvira, un’acrobata e una cavallerizza e infine Masetto e Zerlina due operai della compagnia. L’allestimento, sicuramente visivamente interessante, grazie soprattutto alle scene e ai costumi di Lilli Hartmann, superato un fascino iniziale lascia diverse perplessità che non permettono una piena promozione dello spettacolo. Si parta dai personaggi: se le dinamiche fra Don Giovanni e Leporello, tutto sommato si prestano a questa trasposizione, lo stesso non si può dire degli altri personaggi, le cui interazioni risultano, talvolta immotivate. Per quale motivo ad esempio Don Giovanni non dovrebbe riconoscere Donna Elvira se sono entrambi della stessa compagnia circense?
Ma ciò concedendo, quello che davvero lascia perplessità è la doppia scelta di non rappresentare la morale, idea non nuova nelle rappresentazioni di Don Giovanni, unita alla mancata morte di Don Giovanni. L’opera mozartiana, infatti, reca come titolo completo Don Giovanni, ossia il dissoluto punito. In questa messa in scena manca del tutto il concetto di punizione del protagonista. Essa si conclude infatti con Don Giovanni che finge e prende in giro la statua del Commendatore e sulle parole “Chi l’anima mi lacera, chi m’agita le viscere” invece che sprofondare nell’inferno, egli prende una delle acrobate della compagnia e la porta nella propria carrozza, continuando la sua esistenza di “femmine e vino, sostegno e gloria d’umanità”.

©Marco Caselli Nirman

Si passi pero al versante musicale decisamente più interessante. Domatore, in senso letterale e metaforico, della serata è stato il Don Giovanni di Giovanni Luca Failla. Complice anche il physique du role, egli cesella un personaggio spietato, crudele, feroce ma anche affascinante. La vocalità è ideale per il ruolo: ricca in volume e sonorità, timbrica pastosa e tonda e sempre strabordante di squillo; il baritono sa anche piegare il proprio strumento verso la dolcezze e la suadenza secondo le richieste che l’impervia partitura richiede senza mai sacrificare l’aspetto attoriale. Il risultato è un successo, non a caso gli applausi più calorosi della serata sono spettati, meritatamente, a lui.
Per le menzioni d’onore, necessario è anche citare la prova di Yulia Merkudinova in Donna Anna, quella di Lorenzo Martelli in Don Ottavio e quella di Giulio Riccò in Leporello.
Quest’ultimo, giovanissimo, ha dato prova di grande senso teatrale per tutta l’opera. Disinvolto e disinibito sul palco, la voce promette grandi potenzialità. Sicuramente una voce da riascoltare nel prossimo futuro.
Il taglio che Lorenzo Martelli sceglie per Don Ottavio, è decisamente lirico. La voce è bella, squillante, sostenuta e con discreto volume. Ciò che sicuramente stupisce è il controllo del fiato. Perciò non stupisce che a far emergere la sua vocalità sia sopratutto la seconda aria.

La Donna Anna di Yulia Merkudinova non ha nulla del carattere manipolatorio che talvolta viene attribuito al personaggio: è, al contrario, una donna disperata per la morte del padre ma la cui disperazione non porta mai ad una linea di canto sfocata. Soprattutto nella seconda aria, !Non mi dir bell’idol mio”, Merkudinova sfoggia saldo controllo del fiato, settore acuto saldo e timbro caldo.
Chi invece avrebbe potuto giocare meglio le carte del proprio talento nella rappresentazione sono le altre due figure femminili dell’opera. La Donna Elvira di Marta Lazzaro non è sempre risultata a fuoco. Nonostante il soprano sia dotato di una grande voce e di un timbro raro, gli estremi della vocalità, in acuto o nel grave, non risultavano sicuri. Discorso simile anche per la Zerlina di Silvia Caliò. Da un punto di vista interpretativo è mancata talvolta la malizia che il personaggio richiede. Vocalmente salda nel settore acuto, le discese nel settore grave, numerose in Zerlina, non risultavano sempre precise. A chiudere degnamente il cast il Masetto di Valerio Morelli, spigliato scenicamente e, nonostante la giovane età, con un timbro che lascia presagire grandi prospettive di crescita. Saldo e ieratico il Commendatore di Alessandro Agostinacchio, a cui si perdona volentieri, visto il mezzo vocale, qualche fiato di troppo nel finale.
Non sempre disciplinatissima è risultata, infine la direzione di Daniel Smith. Nonostante alcuni momenti di ottima routine, come la sinfonia iniziale, in alcuni momenti è mancata una guida più determinante, soprattutto nel finale primo.

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