la more mai”: così recita un vecchio adagio popolare. E bene si abbina all’avventura che vi stiamo per narrare, in cui molte volte abbiamo desiderato vedere Violetta arrivare più in fretta al suo triste e fatale destino. Può infatti una Traviata avere la durata di una Walkiria? Si, all’Arena di Verona può avverarsi anche questo.
La prima stagionale dell’opera verdiana, il 2 luglio, è stata infatti protagonista di un episodio piuttosto deplorevole per un teatro del livello dell’Arena. Alle 21.50 l’orchestra attacca le prime note del preludio, mentre sul palcoscenico ancora agisce la gru per il montaggio dell’imponente scenografia di Franco Zeffirelli, che rimarrà incompleta per tutta l’opera, con ripetuti tentativi di giungere ad un montaggio effettivo. La carenza di personale, un importante numero di contagiati sono le ragioni che parrebbero ascriversi ad essere la causa di una situazione che ha messo in luce una macchina organizzativa da rivedere sotto questo aspetto. Lungi da noi voler insegnare un mestiere a chi lo sa fare già benissimo, ma resta pur l’amarezza di aver visto uno spettacolo a metà e che dimostrava un’effettiva mancanza di prove. Restano quindi da apprezzare dal punto di vista visivo soltanto i costumi pregevoli di Maurizio Millenotti.

L’esecuzione musicale ha evidentemente risentito del nervosismo dell’estenuante attesa. Marco Armiliato alla guida dell’Orchestra dell’Arena di Verona e del coro diretto dal M° Ulisse Trabacchin, delinea la struttura del capolavoro verdiano con sobrietà e diligenza, mantenendo una certa compattezza tra buca e palcoscenico. Brillante la prestazione di Eleana Andreoudi e Fernando Montano, che danzavano le coreografie di Giuseppe Picone.
Sul palcoscenico si comportano adeguatamente Carlo Bosi (Gastone), Alessio Verna (Marchese d’Obigny), Nicolò Ceriani (Barone Douphol), Francesco Leone (Dottor Grenvil), Max René Cosotti (Giuseppe) e Marco Malvaldi (Domestico/Commissario). Corretta ma non brillante la Flora di Lilly Jørstad, mentre Francesca Maionchi offre un’ottima prova nel ruolo di Annina.
Nei tre ruoli principali la parte dei leoni è quella del côté maschile. Vladimir Stoyanov torna dopo ben undici anni (!) in Arena e nuovamente con il personaggio di Giorgio Germont, ritagliandosi il suo meritato successo grazie ad un canto costruito sulla solidità tecnica, la sensibilità espressiva ed un’eleganza innata che traspare in ogni momento. Il sangue verdiano non è acqua. Figlio di cotanto padre è l’esuberante Alfredo di Vittorio Grigolo, straboccante personalità messa al servizio di un’interpretazione giocata su un temperamento che focoso è dire poco e su una vocalità timbricamente privilegiata (ma anche tecnicamente piuttosto ferrata).
L’anello debole è purtroppo la Violetta di Nina Minasyan, la quale indubbiamente paga lo scotto di un debutto doppio (sia in Arena che nel ruolo) in una serata ad alta tensione. Il soprano mette in luce vocalità dal timbro gradevole, estesa (il Mib è sicuro e squillante), ma anche una sostanziale mancanza di padronanza del ruolo, soprattutto dal II atto in poi, quando la linea vocale verdiana richiederebbe ben altra intensità e peso.
Al termine applausi calorosi e comprensivi.