Già quando lo speaker ne pronuncia il nome, il pubblico dell’Arena scatta in uno spontaneo applauso, come ai bei tempi tanto rimpianti: è Anna Netrebko, forse l’unica artista oggi a scatenare le più “sanguinose” battaglie tra i facinorosi appassionati del melodramma. C’è chi la ama indubitabilmente e indissolubilmente, chi la detesta allo stesso modo, ma in ogni caso sotto la luce c’è lei, con la sua forte personalità e la sua unicità.
In questo suo ritorno veronese, per il quarto anno consecutivo, si ripresenta al pubblico nell’opera più simbolica per la storia di questo teatro, Aida, e ancora una volta fa cadere sotto il suo canto le vecchie pietre dell’anfiteatro. Netrebko è una positiva mistificatrice e il gioco le riesce. Che i primi due atti di Aida non siano i più adatti a far brillare le sue caratteristiche vocali è chiaro, così che la cantante cede il passo al talento scaltrito dell’interprete con la sua magnetica capacità attoriale. Dal terzo atto in poi anche la cantante emerge al meglio, grazie all’uso raffinato di impalpabili pianissimi e filature cristalline. Il personaggio, grazie come dicevamo anche alla presenza (è il caso proprio di usare questo termine) teatrale della Netrebko ne esce sbalzato con incisività: sia chiaro, quando è in scena non ce n’è per nessuno, tutti spariscono.
Al suo fianco Yusif Eyvazov è un solido Radames, tecnicamente forbito, che affronta il ruolo con spavalderia, sicurezza rara e anche una percepibile sensibilità espressiva. Di pari livello l’Amonasro di Ambrogio Maestri, il cui poderoso strumento viene messo al servizio di un canto nerboruto e di grande impatto.
Dopo la Carmen inaugurale Clémentine Margaine torna sul palcoscenico areniano per vestire i panni di Amneris. Il personaggio verdiano si adatta meglio alle carattestiche tecnico-vocali rispetto alla gitana di Bizet, e anche il fraseggio risulta più coinvolgente (come si nota nella grande scena del IV atto), tuttavia si rilevano anche qui alcuni problemi di intonazione.
Colpisce negativamente il Ramfis di Günther Groissböck, in evidente disagio con il ruolo e gli stilemi del canto verdiano. Corretto il Re di Romano Dal Zovo così come il Messaggero di Riccardo Rados, mentre risulta ancora una volta convincente Sacerdotessa di Francesca Maionchi.
Ottimo l’apporto dei primi ballerini: Ana Sophia Scheller, Alessandro Staiano ed Eleana Andreoudi.
Sul podio Marco Armiliato garantisce una tenuta solida e una pregevole capacità di accompagnamento. Si nota talvolta qualche disequilibrio tra buca e palcoscenico e anche una certa indulgenza, talvolta esagerata, verso i cantanti.
Al termine un grandissimo successo, con ovvio entusiasmo per la stella Netrebko. Arena però ben lontana dal l’esaurito delle grandi occasioni.