“La ruota della fortuna, attorno alla quale orbitano solitudini senza speranza, amanti non riamati, rapporti appesi al patrimonio o a un’illusione”: così si legge nell’imponente programma di sala del Festival della Valle d’Itria, riguardo al titolo d’apertura della 48esima edizione, Le Joueur di Sergej Prokof’ev. Sì, proprio Le Joueur: l’opera va infatti in scena nello spazio esterno dell’elegante Palazzo Ducale, nella versione francese con il libretto di Paul Spaak (nonno della compianta Cathérine), così come è andata in scena in prima assoluta al Théàtre Royale de la Monnaie di Bruxelles il 29 aprile 1929.

Oltre che una rarità assoluta, si trattava anche del primo titolo russo ad andare in scena al celebre festival pugliese, titolo inaugurale della nuova direzione artistica del M° Sebastian F. Schwarz, una sfida per la complessità musicale e l’esigenza di un apparato registico-teatrale all’altezza della raffinatezza architettonica dell’opera del compositore russo.

Fortunatamente a Martina Franca c’era il regista britannico David Poutney, in grado di guidare gli artisti a sua disposizione ad una lettura che possedeva nel gesto e nel movimento vivo senso del teatro, asciuttezza espressiva e dinamica reattività scenica. Fondamentale contributo, vero e proprio protagonista, l’apparato visivo e costumistico approntato dalla bravissima Leila Fteita, che con l’utilizzo di giochi visivi illusori (merito del gioco luci ottimo di Alessandro Carletti), rimandi artistici ai manichini e alle anatomie immaginate dall’artista Kazimir Malevič, trasfondeva intensità e suggestione alle sonorità e ai rapporti tra i personaggi. Il suono si fa corpo.

Il M° Jan Latham Koenig, sul podio dell’Orchestra e del coro (diretto da Fabrizio Cassi) del Teatro Petruzzelli di Bari, si muove nel suo elemento naturale, gestendo alla perfezione una partitura che si gioca su una teatralità incessante, “spezzato”, in cui trovano spazio pochi squarci lirici, in virtù di un movimento melodico e ritmico in continua evoluzione. Risulta ideale anche la gestione delle dinamiche, la cui cangianza emerge senza mai sovrastare il canto.

©Clarissa Lapolla

Il cast appare omogeneo: Paul Curievici (Le Marquis), Alexander Ilvakhin (Mr. Astley), Ksenia Chubunova (Blanche), Sandro Rossi (Le prince Nilsky), Strahinja Djokic (Le baron Wurmerheim), Gonzalo Godoy Sepulveda (Potapytch). Brillanti anche gli interpreti della scena della tavola da gioco, Dagur Thorgrimsson, Joan Folqué, Strahinja Djokic, Toni Nezic, Irina Bogdanova, Alessia Panza, Ksenia Chubunova, Larissa Grigoreva, Alessandro Lanzi, Paul Curievici, Sandro Rossi, Elcin Adil Huseynov, Yuri Guerra, Vincenzo Mandarino, Pantaleo Metta, Elia Colombotto, Diego Maffezzoni, Graziano De Pace e Dario Lattanzio. 

Si distinguono per efficacia vocale e teatrale Andrew Greenan nei panni del grottesco Le Général e il protagonista Sergej Radchenko. Emergono però sopra tutti le due “protagoniste” (in un’opera come questa è la collettività a vincere): Maritina Tampakopoulos nei panni di Paulina e Silvia Beltrami (La Grand-Mère/La vieille joueuse suspecte). La prima mette in luce ampia e rotonda voce di soprano lirico tendente allo spinto, capace di un canto sfogato avvolgente e seducente; il mezzosoprano conferma il suo deciso temperamento artistico e la sua estrema duttilità artistica. Entrambe sono attrici di grande presa, in particolare la Tampakopoulos si dona visceralmente alla costruzione della nevrosi che domina il suo personaggio, in particolare nel finale.

©Clarissa Lapolla

Alla produzione arride un vivo successo, conferma di un Festival che osa rischiare, fidandosi del suo pubblico, fatto di turismo vacanziero (le bellezza della Puglia giocano sempre un ruolo decisivo) e di turismo musicale, che non osa rinunciare alle preziosità di questa manifestazione.

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