Era la sera di Ferragosto del 2009 e sul palcoscenico dell’Arena esordiva un giovane soprano, portandosi via il cuore del pubblico nei panni dI Tosca, accanto al compianto Marcello Giordani e a Ruggero Raimondi. Quel soprano era Oksana Dyka, una voce e un’artista che è divenuta negli anni una delle voci di soprano drammatico più importanti sulla scena internazionale. Con lo stesso entusiasmo di quell’esordio il soprano torna sul palcoscenico dell’anfiteatro, vestendo per la seconda volta i panni di uno dei suoi cavalli di battaglia, Turandot. L’abbiamo intervistata a pochi giorni dalla sua attesa prima e ci ha raccontato il suo grande amore per Puccini e per il suo personaggio.

Turandot è un personaggio psicologicamente così interessante che ognuno ne ha una sua visione, tu come la vedi?

Turandot è una donna, una donna capricciosa, ma non cattiva: vuole sembrarlo, mette in scena questo “show”. Un assistente alla regia mi ha raccontato in questi giorni di prove qui all’Arena cosa pensava Zeffirelli di questo personaggio e mi ha affascinato moltissimo: chissà quante volte Turandot ha intonato “In questa reggia”, è un rituale meccanico, un racconto che lei ripete pedissequamente ogni volta. Però quando vede Calaf tutto cambia, osa rompere lo schema, è incuriosita dal fatto che quest’uomo non ha paura, anzi lei stessa si “spaventa” del coraggio e della spavalderia con si presenta alla prova degli enigmi. Mi hanno chiesto recentemente di fare un paragone tra Butterfly e Turandot: la prima ha quindici anni, mentre io penso che Turandot non sia così giovane…suo padre vuole che si sposi, ciò mi fa pensare che abbia, insomma, una certa età.. (ride)

©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Anche l’amore di Turandot per Calaf pur essendo un colpo di fulmine si sviluppa in maniera più lenta…è una donna cerebrale, l’amore nasce per lei prima nella mente che nel cuore forse…

Sicuramente il suo è un colpo di fulmine, ma deve prenderne coscienza prima di gettarsi a capofitto nel vivere questo legame. Devo dire però che non ho un’idea fissa di come debba essere Turandot. Un regista crea la sua idea dell’opera e dei suoi caratteri e rimangono tali spesso anche nel tempo, mentre per noi interpreti è diverso, c’è un cambiamento continuo ed è quello che penso dia la vita al personaggio. Non si può interpretare tutto come si fosse delle macchine…non è possibile per Turandot, ma anche per tutti gli altri bellissimi ruoli che ho affrontato. Penso a Tosca e alla sua gelosia: in una recita è gelosa per davvero, in un’altra fa finta di esserlo…è bello giocare con il carattere di questi personaggi e cambiarlo sempre…

Anche perché sicuramente cambierai anche tu come persona attraverso l’anima dei tuoi personaggi…

Sì, è fondamentale anche l’incontro con direttori d’orchestra diversi, registi, che hanno una loro visione dell’opera e influenzano il tuo sviluppo del personaggio. Pensa in quanti modi si può cantare “In questa reggia”: ho sentito recentemente un’esecuzione che optava per tempi più moderati, per mettere in risalto la sontuosità del canto e dell’orchestrazione. E’ questo il bello della musica e del teatro: poter avere ciascuno un proprio modo di “essere” lo stesso personaggio. Io non riesco per esempio a viverla come un personaggio statuario, immobile…la sento più viva…d’altronde è il personaggio di una favola, quindi ognuno la può pensare come vuole, seguendo la propria immaginazione. Ne abbiamo parlato molto con mio marito (il baritono Gabiele Viviani, ndr), e lui mi diceva che secondo lui non dovevo sorridere, dovevo essere sempre di ghiaccio anche nei movimenti e nelle espressioni facciali. 

Talvolta un sorriso può evocare tanta di quella cattiveria…

Certo! 

©Fabrizio Sansoni/Teatro dell’Opera di Roma

Liù è considerata l’ultima eroina pucciniana, che riprende tutti i paradigmi di questi personaggi…ma siamo sicuri che Turandot non lo sia altrettanto?

Le ultime note che Puccini ha scritto sono effettivamente di Liù, quindi sicuramente il cuore del Maestro parteggiava per lei. Quello che io so di Liù è che ha sempre più successo di Turandot, come Micaela in Carmen! (ride, ndr)…lei compie questo sacrificio enorme, su una musica straordinaria, e quindi giustamente suscita pietà e conquista il successo. 

Ti sarebbe piaciuto cantare questo personaggio?

Mi piacerebbe molto anche ora! Ho fatto le arie in concerto, ma sarei assolutamente felice di affrontare il ruolo completo. 

Quindi anche dopo aver legato il tuo nome a Turandot…

Sì! Mi piacerebbe allo stesso modo cantare Musetta! 

Con una Musetta con la tua vocalità sarebbe difficile trovare una Mimì…la stessa cosa per Turandot! 

Infatti non pensano a me come Mimì…anche perché come figura non sembro troppo malata (ride, ndr.), ma come Musetta andrei benissimo! Mimì poi è malata fin dall’inizio dell’opera, quindi non ci vuole per forza una voce pesante! Ci si dovrebbe pensare…io sono pronta!

©Enrique Moreno

Durante la tua carriera hai affrontato anche ruoli e musiche del Novecento (non che Puccini non appartenga a quel secolo), come Jenůfa di Leoš Janáček o ancora Prokofiev e Šostakóvič…c’è qualcosa in Turandot che la avvicina o che preannuncia questo stile musicale?

Io non sento nessuna parentela con la musica di Prokof’ev o Šostakóvič…queste sono musiche troppo profondamente influenzate da quello che era il retroterra culturale di questi compositori. C’è dentro troppo freddo, un freddo veramente interiore. Amo questa musica, ma Puccini è un altro mondo, è italiano nel suo modo di creare e di pensare la musica.  Nella musica russa ed est-europea ci sono mille emozioni, sono nascoste, trattenute all’interno, mentre in quella italiana tutto è aperto, i personaggi aprono il loro cuore al pubblico, mostrando apertamente le proprie ferite. Penso per esempio a KaterinaIzmajlova della Lady Macbeth del Distretto di Mcensk, che ama, ammazza per amore, ma vive i suoi drammi in maniera introversa, non li mostra a nessuno, lo stesso avviene per la Tat’jana di Evgenij Onegin…la scena della lettera pur nella sua bellezza romantica esprime un’emozione controllata. Nell’amore c’è sempre la sofferenza, tutto può finire…è la nostra cultura che ci porta ad essere sempre negativi. Da quando vivo in Italia percepisco nettamente la differenza: voi, come nella vostra musica, siete sempre aperti a tutti…se siete felici lo siete al cento per cento, se vi emozionate per la musica che preferite arrivare a piangere per l’emozione. Noi se siamo felici, stiamo già pensando al dopo, alla sofferenza che ci aspetta alla fine della felicita. Dopo quindici anni qui sto però cominciando ad imparare ad essere più come voi! 

Forse però a livello musicale questo tipo di controllo può essere vantaggioso…

Non lo so…durante la fase di studio certamente fai un lavoro di costruzione del tuo “percorso” in quel pezzo: un’aria è composta da un recitativo, un cantabile e un finale…quando studi pensi allo sviluppo di tutti questi momenti e al collegamento tra loro,  a come risolvere tutti i passaggi tecnicamente, così come mi ha insegnato il maestro Daniel Barenboim quando abbiamo preparato insieme Aida per la tournée del Teatro alla Scala a al Teatro Colòn di Buenos Aires. Quando però sei in scena hai già assorbito tutto questo in fase di studio e devi dimenticartene, costruire emozioni in quell’istante di musica che stai cantando. 

E’ stato pubblicamente recentemente il tuo primo album dedicato a Verdi e Puccini per Delos, con  la Kausan City Symphony Orchestra diretta dal M° Costantin Orbelian…sembrerebbe che il tuo cuore sia diviso tra questi due autori, ma la tua anima a chi senti che appartiene?

Penso di avere un’anima pucciniana. Ho cantato moltissimi ruoli di questo compositore, oltre a Turandot: Tosca, Butterfly, Giorgetta del Tabarro, Minnie de La Fanciulla del West. Fanciulla è stata un’opera di cui mi sono innamorata…l’ho riascoltata in tv qualche tempo fa e mi sono resa conto anche di quanto è difficile, da comprendere anche musicalmente. Quando mi accingevo a prepararla e l’ho ascoltata un paio di volte mi sono scoraggiata, non credevo di poterla fare…è un’opera che non ti conquista immediatamente, ma quando poi ti prende ne resti folgorato…la scena della partita a poker…cosa non è quella musica! geniale! 

Forse Il Tabarro ha lo stesso tipo di fascino e di fascinazione…

Sì! Non arriva dritto al cuore come altre opere di Puccini, agisce più lentamente. È una musica che va studiata e ascoltata più volte, ed è più vicina in qualche modo al temperamento est-europeo…

Tornando però alla Principessa di Gelo: cosa ti immagini succederà tra lei e Calaf quando il sipario si chiude? E soprattutto preferisci questo finale felice o preferiresti che l’opera finisse con la morte di Liù?
Quello che accade alla fine dell’opera deve deciderlo il pubblico, con la sua libera immaginazione. Ho pensato spesso però alla vita di Turandot e Calaf…forse sarà una vita felice, forse è invece solo quello che noi vorremmo per loro…

…E invece divorziano dopo sei mesi! (ridiamo, ndr.)

Non so…la gente però penso voglia la felicità, un finale che faccia sognare…vogliamo tutti tornare a casa sereni, felici, con il cuore pieno di emozioni positive. Va data una speranza al pubblico…

Anche se “delude sempre”…

Vedi! È quasi come se fosse una previsione quella di Turandot, un calcolo esatto di com’è la vita…diciamocelo, lei un po’ crudele lo è! 

Forse questo tratto di passione eccessiva, “crudele”, diciamo è molto pucciniana…

Quando io sento la musica di Puccini intuisco il suo amore smisurato e fortemente passionale per il sesso femminile. Nella sua musica c’è sesso dappertutto! Forse gli è capitata una donna come Turandot…chissà!

Solo lui lo sa…

SI! Ma è cosi bello inventare, immaginare…io adoro costruire un personaggio sempre diverso, è bello anche per chi viene agli spettacoli vedere qualcosa di originale. Penso a tutti gli appassionati che qui in Arena vengono a tutte le recite da più di quarant’anni, veri fanatici dell’opera: devi dargli qualcosa di diverso, un brivido unico…siamo fatti per la gente, per creare una sensazione catartica nel pubblico. Il nostro è un lavoro in cui ci doniamo agli altri, lo dobbiamo fare sempre e sempre di più. Per fare questo ci vuole anche una comunione d’intenti con tutte le componenti di uno spettacolo, tutti dobbiamo lavorare per dare felicità al pubblico e creare quella sensazione elettrica irripetibile. In Arena dobbiamo fare un lavoro doppio data la grandezza di questo teatro unico. 

©Luciano Romano/Teatro San Carlo di Napoli

Quali saranno i tuoi prossimi impegni?

A settembre sarò ad Amburgo per Nabucco e poi canterò Tosca a Bilbao. La bellissima produzione di Amburgo sarà la mia terza Abigaille lì, nello spettacolo del regista dissidente russo Kirill Serebrennikov, che fu arrestato nel 2017 e messo ai domiciliari. Fu incredibile come riuscimmo a montare l’opera: tutto il materiale foto e video veniva inviato all’ufficio della censura, che dopo un attento controllo lo lasciava in visione a Serebrennikov. Ora che è stato rilasciato spero di poterlo finalmente conoscere dal vivo. 

Grazie ad Oksana Dyka e In bocca al lupo!

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