Dopo due stagioni in sordina, la grande lirica ritorna sul palcoscenico del Teatro Lirico “Giuseppe Verdi” di Trieste: il titolo prescelto è Otello di Giuseppe Verdi su libretto di Arrigo Boito, assente dal palco triestino da undici anni. La Fondazione sceglie di puntare in alto fin da subito: la carta vincente è senza ombra di dubbio la bacchetta del Maestro Daniel Oren, che dopo più di dieci anni ritorna a dirigere al Verdi. Alla regia Giulio Ciabatti, che ormai è “di casa” all’interno della Fondazione, dove ha curato più di trenta allestimenti. Le luci sono curate da Fiammetta Baldiserri, che debutta a Trieste, come anche la costumista Margherita Platé. 

Dal punto di vista musicale, la serata è eccellente: ogni particolare risulta curato in modo quasi maniacale, dall’attenzione per le dinamiche alla creazione di emozioni drammaturgiche. Il Maestro Oren è in grado di dare vita a una “colonna sonora” sfruttando tutte le indicazioni agogiche e drammaturgiche presenti nella partitura: il suo studio meticoloso fa comprendere la maturità compositiva che Verdi raggiunge in questa partitura. L’orchestra della Fondazione è musicalmente cresciuta in maniera splendida: la direzione di Oren ben delinea tutte le sezioni. Ottimo l’impasto sonoro dei violini, eccellente l’insieme dei flauti nel registro basso, emozionanti i soli del corno inglese e del violoncello, grintose e accattivanti le trombe e i tromboni. Il Coro, diretto dal Maestro Paolo Longo, finalmente canta senza mascherina e offre una buona prestazione musicale e scenica. Il coro di voci bianche “I Piccoli Cantori della Città di Trieste”, preparato dalla Maestra Cristina Semeraro, contribuisce maggiormente alla buona riuscita della resa sonora. 

Giulio Ciabatti cerca di portare in scena un allestimento godibile tramite una regia di stampo prettamente classico, in cui il focus è principalmente la comunicazione non verbale dei personaggi all’interno della scena. L’ambientazione in un unico quadro in cui piccoli elementi sono di vitale importanza fa sì che l’attenzione dello spettatore sia tutta concentrata sui cantanti: si segnala, nell’ultima scena dell’atto IV, l’utilizzo della spada come punto di maggior tensione scenica. Ciabatti ben conosce il pubblico triestino e confeziona un prodotto elegante e in grado di soddisfare le aspettative. I costumi di Margherita Platé collocano perfettamente la vicenda nello spazio e nel tempo, le luci di Fiammetta Baldiserri trasmettono una maggiore idea di pathos nei primi due atti, risultando invece leggermente più asettiche verso la fine. 

Otello, interpretato da Arsen Soghomonyan, dimostra una buona vocalità e una presenza scenica forse un po’ timida all’inizio ma che va in un continuo crescendo fino a esplodere verso il finale. Lianna Haroutounian, al suo debutto al Teatro Verdi, porta in scena una Desdemona fresca, giovane e innamorata dell’amore: la sua voce convince sempre, in particolare sul celeberrimo Ave Maria nel IV atto. Roman Burdenko interpreta uno Jago che trasuda “Schadenfreude” (gioia maligna) in ogni movimento: buona l’intesa vocale e scenica con Otello, interessante il suo colore vocale nel registro centrale. 

Il Cassio di Mario Bahg, al suo debutto in Italia, trasmette sicurezza a livello vocale, mentre scenicamente risulta sempre un po’ in ombra, ma crediamo che acquisirà sicurezza nelle prossime repliche. Emilia, interpretata da Marina Ogii, si muove molto bene sul palcoscenico e mostra una buona intesa vocale e scenica con Desdemona. Ha una voce piena e potente, soprattutto nel registro centrale. 

Completano egregiamente il cast Giovanni Battista Parodi (Lodovico), Enzo Peroni (Roderigo), Fulvio Valenti (Montano), Giuliano Pelizon (un araldo), Damiano Locatelli (un araldo). 

Il pubblico si mostra soddisfatto e premia la compagnia con numerosi applausi. Si replica fino al 15 novembre.

Trieste, 4 novembre 2022

Recensione a cura di Matteo Firmi e Cecilia Zoratti

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