Grandi applausi al Comunale di Bologna per Andrea Chénier, in una produzione di grande impatto visivo e musicale, che sottolinea e invita a riflettere sui contrasti che gli sconvolgimenti della Storia apportano, nel bene e nel male
E’ un Andrea Chénier insolito per Bologna, quello andato in scena quest’anno. Insolito perché siamo stati abituati in questo teatro ad un approccio quasi sempre volto alla ricerca di regie innovative e spiazzanti, con risultati alterni. Questa volta invece, come sempre più di rado accade, si sceglie, se così la vogliamo chiamare, la tradizione.
Lo spettacolo, firmato nella regia da Pier Francesco Maestrini, che ben conosciamo come uomo di teatro assai attento alla cura e ai dettagli dei suoi spettacoli, si impronta sulle meravigliose scene e video di Nicolas Boni, che rappresentano un mondo, quello francese di fine ‘700, fastoso ma sempre più stretto e circondato dal vento di un cambiamento idealmente nobile, ma che nella pratica semina devastazione, saccheggi, disordine. Ecco quindi che ci appare come un vero e proprio quadro, attorniato da resti visibili di una distruzione che via via nel corso della trama prende il sopravvento, mandando prima in fiamme ciò che resta del vecchio mondo e mostrandoci poi, in veri e propri “tableaux vivants” di notevole e realistico impatto visivo, i saccheggi, le rovine, il fuoco che fagocitano tutto ciò che resta dell’elegante e sfarzosa bellezza che fu. Eloquenti in tal senso le scenografie del secondo atto, in cui una grande statua viene accuratamente studiata e smembrata mentre sullo sfondo è proiettato un edificio in fiamme che viene costantemente spogliato di quadri, mobili e di tutto ciò che ne resta. In questo scenario si inseriscono alla perfezione le masse dei coristi, mimi e dei danzatori, che mescolandosi alle figure che vediamo proiettate sul fondale, compiono le stesse azioni, in un turbinio caotico e frenetico che ricorda per veridicità alcune scene di film storici o di quadri del tempo. Un lavoro di regia, quello di Maestrini, sapientemente curato, dall’inizio alla fine dell’opera, che coinvolge e tiene incollato lo spettatore in maniera cinematografica, ma sempre senza strafare o voler inutilmente esagerare nella spettacolarizzazione. Splendidi sono poi i costumi di Stefania Scaraggi, perfettamente funzionali le luci di Daniele Naldi (molto suggestivi gli effetti di chiaro-scuro in controluce nei finali di ogni quadro) e le coreografie di Silvia Giordano, assistente alla regia. Un plauso va ovviamente anche agli allievi delle scuole di teatro “Alessandra Galante Garrone” e di danza Arabesque Bologna.
Musicalmente lo spettacolo non delude affatto, contribuendo anzi ad estrapolare i grandi temi, la forza dei valori che si impongono nelle tumultuose vicende storiche in cui si colloca la trama, in una fusione che non lascia nulla al caso. Vi è un che di vagamente cinematografico e sinfonico in questo Andrea Chénier. Oksana Lyniv estrapola il meglio dall’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna: sonorità grandiose e voluminose, pregne di teatrale tensione emotiva, senza mai per questo soverchiare le voci ma soprattutto con la forza di un suono che non cade nel rischio di perdere di qualità. Nessuno strombazzamento, nessuna asprezza, l’omogeneità con cui l’insieme dell’orchestra coinvolge nel vortice enfatico che è essenza del dramma verista, coinvolge, assorbe e immerge chi ascolta, con una mirabile varietà di colori e sfaccettature. La bellezza della direzione insomma si fonde con quella visibile sul palcoscenico in un esito davvero folgorante. Ottima la partecipazione del Coro del Teatro Comunale di Bologna, diretto da Gea Garatti Ansini e particolarmente d’effetto nella scena del “giudizio” verso i condannati a morte. Le voci sono poi l’ulteriore perla che completa uno spettacolo davvero di ottimo livello. Gregory Kunde è uno Chénier appassionato, generoso, poetico ed eroico al tempo stesso. La sua è una prova che non fa che confermare la versatilità e le straordinarie capacità vocali a cui ci ha abituati in decenni di carriera. La voce si regge su una tecnica solida che gli consente di spaziare in ogni registro con sicurezza, varietà di colori ed accenti ed un fraseggio d’effetto che lo accompagnano fino all’esaltante finale. Al suo fianco Erika Grimaldi, Maddalena di Coigny, che dopo un inizio sì positivo ma in cui ci pareva non essere una vocalità in grado di reggere del tutto il ruolo, ci smentisce immediatamente nota dopo nota, dimostrando piena padronanza di uno spartito che si è soliti associare a timbri più “grassi”, e crescendo in una interpretazione intima e sentita del proprio personaggio verso il dramma finale, senza tralasciare un “La mamma morta” davvero emozionante. Encomiabile è poi il Carlo Gérard di Roberto Frontali, sensibilissimo artista che dipinge con voce di bella pasta e canto assai espressivo un personaggio dalle svariate sfumature psicologiche. Il suo “Nemico della Patria” è da manuale per intensità drammatica. Ottimamente nella parte anche Cristina Melis, come Bersi, Federica Giansanti, come Contessa di Coigny e Manuela Custer, una Madelon, ognuna capace, tanto attorialmente quanto vocalmente, di trasmettere i tratti del proprio personaggio senza lezzi o inutili eccessività. Risaltano, alla pari degli interpreti principali, Vittorio Vitelli come Roucher, Nicolò Ceriani come Fouquier-Tinville, Stefano Marchisio come Pietro Fléville e Alessio Verna, Mathieu. Completano dignitosamente il cast Bruno Lazzaretti, un Incredibile, Orlando Polidoro, Abate e poeta, Luca Gallo, Schmidt, Luciano Leoni, Dumas e Antonio Ostuni, musico.
Grande e meritato successo per l’intera produzione.
Bologna, 23.10.2022
Grigorij Filippo Calcagno