Nell’ambito del ciclo dei titoli interpretati da Luciano Pavarotti in ordine di debutto, è la volta di Madama Butterfly, in una ripresa di un allestimento già affermatosi negli ultimi vent’anni, firmato da Stefano Monti.
Da alcuni anni il Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena ha scelto di rappresentare un’opera all’anno, all’interno della Stagione Lirica, in memoria del celebre tenore cittadino, ripercorrendone idealmente la carriera titolo dopo titolo, in ordine di debutto. Ecco perché la scelta di portare in scena, quest’anno, Madama Butterfly, seppure con un allestimento già visto e applaudito nel 2003 a Modena e in altri teatri, non solo italiani, negli anni successivi. Ne porta la firma il regista Stefano Monti che sceglie di attenersi ad una rappresentazione del Giappone al tempo stesso tradizionale ma senza tempo, o per meglio dire, in grado di attraversarlo. E lo fa puntando accentuandone, senza esagerare, la teatralità e lo spirito garbato, riservato, raffinato ed elegante della cultura nipponica, valorizzando lo spazio scenico e provando a conferire dinamismo ad una trama che specie in alcuni momenti serba con sé il rischio di una certa staticità sulla scena. Ecco perché le classiche pareti mobili si trasformano talvolta in vere e proprie pagine che attraverso le immagini contribuiscono ad arricchire il racconto, valorizzandone o evocandone atmosfere e situazioni drammaturgiche. Un ulteriore ausilio viene dato dalla presenza di una figurante di teatro tradizionale giapponese, Monique Arnaud, che in modo simbolico e delicato appare talvolta sullo sfondo, un elemento che ci ricorda quel mondo esterno alla casa di Cio-Cio-San, un Giappone le cui atmosfere sono ancora oggi per tutti ricche di fascino. Lo spettacolo funziona, nella sua semplicità fine e al servizio della cosa più importante, la storia di Madama Butterfly. Monti è al tempo stesso autore oltre che della regia e delle scene, dei costumi. Le luci, anch’esse fondamentali per la resa poetica e dolce ricercata dal regista, sono invece di Eva Bruno. Particolarmente d’effetto il finale in cui, coerentemente con la delicatezza amorevole che contraddistingue l’impianto della regia, anche la drammatica morte di Butterfly ci è mostrata in controluce, come un’ombra dietro a un grande ventaglio. Teatrale, anche sacrale ma al tempo stesso tenero e riserbato, come l’animo del Giappone.
Positiva, complessivamente anche la parte musicale. La direzione dell’Orchestra Filarmonica Italiana è del Maestro Aldo Sisillo, che da alla partitura una lettura in linea con la tendenza vista sulla scena. Delicata e mai eccessiva nei contrasti dinamici e nelle sonorità, elegante e fluida nel susseguirsi dello sviluppo musicale e teatrale ma anche incisiva nei momenti più drammatici. Molto buona è poi la performance del Coro Lirico di Modena, protagonista indiscusso nel celebre Coro a bocca chiusa, anche grazie alla preparazione del Maestro Stefano Colò.
Per quanto riguarda il cast degli interpreti, la parte della protagonista è affidata a Vittoria Yeo, la quale pur essendo forse più adatta ad un repertorio con meno “declamati” (la ricordiamo ad esempio come ottima Giovanna d’Arco nello stesso teatro lo scorso anno) convince pienamente grazie all’intelligenza musicale, alla solida tecnica (si sente distintamente la “scuola Kabaivanska”) e all’interpretazione sentita. I momenti più felici rimangono senza dubbio quelli che le consentono di liberare maggiormente la sua bella voce e di cantare, come nella toccante scena finale. Diego Cavazzin è un Pinkerton dal timbro sonoro, squillante e dal canto generoso, caratteristiche che soddisfano l’orecchio nonostante l’occhio non venga ripagato da una attorialità altrettanto sciolta e credibile. Davvero incisiva, forse la migliore fra tutti, Nozomi Kato, nei panni di una Suzuki saggia e fedele, partecipe con viva personalità al dolore di Butterfly e sostenuta da un’ottima voce e da fraseggio efficace e teatrale. Sergio Vitale dal canto suo onora il ruolo di Sharpless con professionalità, padronanza del ruolo e con un timbro baritonale limpido e gradevole. Bravo nel trasmettere le sfaccettature ambigue del proprio personaggio è Saverio Pugliese, nei panni di Goro. Completano con omogeneità il cast i restanti interpreti: Cristian Saitta, uno zio Bonzo irruento e cavernicolo, Chao Liu, principe Yamadori di ottima fattura, Francesca Mercuriali come Kate Pinkerton, Nicola Zagni, zio Yakusidé, Marcandrea Mingioni, commissario imperiale, Matteo Monni, ufficiale del registro e infine Barbara Chiriacò, Maria Komarova e Silvia Tiraferri, rispettivamente zia, cugina e madre.
Lo spettacolo convince pienamente il pubblico e pur senza raggiungere vette interpretative particolarmente toccanti può godere di un equilibrio complessivo e di una cura generale che ne fanno sicuramente un’apprezzabile serata di teatro.
Modena, 28.10.2022