Dopo una infelice edizione di Aida, il Teatro Filarmonico di Verona chiude questa settimana la stagione lirica prima della pausa estiva con il ritorno dopo 45 anni di assenza di Werther, l’opera di Massenet tratta dal capolavoro letterario di Goethe.
Ed è un ritorno molto riuscito dal punto di vista artistico, nonostante un pubblico invero non numeroso alla prima (un’opera di pubblicizzazione insufficiente?). Quello presente è però commosso e plaudente, anzi fa sentire la propria voce chiedendo con insistenza (desiderio esaudito) il bis di “Porquoi me reveiller?” e osannando a gran voce i protagonisti con esclamazioni entusiaste d’altri tempi.
L’entusiasmo è quello di trovare uno spettacolo riuscito, elegante, moderno (nell’asciuttezza e sincerità della recitazione) come quello di Stefano Vizioli, che grazie alle essenziali scene di Emanuele Sinisi e ai bei costumi, riesce a suscitare poesia e commozione, con un utilizzo magistrale delle proiezioni, mai fini a sé stesse, didascaliche o sovtastanti, ma profondamente simboliche e simbiotiche con il testo del libretto e della musica. L’assoluta felicità di vedere uno spettacolo come questo è riscontrare la presenza di un regista che conosce l’opera e ne ha studiato non solo le trame drammaturgiche ma soprattutto quelle musicali.
Sul podio Francesco Pasqualetti assicura efficace tenuta teatrale ed equilibrio tra buca e palcoscenico.
La compagnia di canto è piuttosto omogenea. Ricordati Maria Giuditta Guglielmi e Pierre Todorovitch che vestono i ruoli di Kätchen e Brühlmann, Youngjun Park dopo Amonasro si ritrova nei panni di Le Bailli, con qualità vocali lodevoli ma che appaiono non ancora artisticamente inquadrate. Gabriele Sagona è una presenza veronese abbastanza frequente e su questo palcoscenico è stato un fantastico Figaro nelle Nozze mozartiano qualche anno fa e qui lo ritroviamo eccellente Johann, un ruolo che non gli permette tuttavia di brillare come meriterebbe. Identico discorso per Matteo Mezzaro, le cui note brillanti qualità sono superiori al ruolo che ricopre, Schmidt.
Gëzim Myshketa trova in Albert un ruolo che si addice molto alle caratteristiche della sua vocalità di baritono lirico, in grado di raccogliere il suono con efficace effetto teatrale e convincente senso della frase musicale.
È ai due protagonisti che quest’edizione di Werther deve sicuramente il suo successo. Vasilisa Berzhanskaya dimostra in Charlotte una crescita artistica notevole con effetti anche sulla sua vocalità, che pur mantenendo inalterata la freschezza e naturale brunitura del timbro, sembra aver acquisito una maggiore consapevolezza del canto legato e del “dare” accento alla frase. Così giunta alla apicale aria delle lettere dimostra intensa immedesimazione interpretativa e si conquista il primo applauso a scena aperta della serata.
Dmitry Korchak si confrontava (non per la prima volta) con il ruolo monumentale di Werther, e sceglieva la via più giusta, scostandosi da tutti i modelli presenti e passati e proponendo il “suo” personaggio, figlio della sua personalità artistica derivante dal belcantismo romantico belliniano e dalla sua personale eleganza naturale, sorgiva. È totalmente compenetrato nel suo personaggio e crea attraverso un’accentazione sognante e raffinata e una tensione emotiva sorprendente, che esplode in “Porquoi me reveiller”, che nel bis toglie il fiato ancor più che la prima volta.
Al termine successo “di qualità” come si è detto.