Sigmund Freud descriveva l’arte di Sarah Bernhardt come impressionante per la partecipazione di ogni arto e di ogni giuntura alla sua espressione, in una sinuosità tortuosa, capace di passare con naturalezza da donna serpente a femmina efebica, enigmatica, interiormente decadente, un’anima divisa tra dolcezze e vertigini, una figura tra spirali e fregi degni di Klimt. 

La donna perfetta per aderire alle sembianze di Adrienne Lecouvreur, così che appare morbidamente e languidamente delineata dalla penna di Eugène Scribe nella sua tragedia “biografica”. 

Elena Mosuc invece pare essere l’interprete ideale per dare cuore e ed emozioni alla musica «profumata» di Francesco Cilea. Il celebre soprano, al debutto nel ruolo, sorprese per la perfetta aderenza sia alla scrittura vocale (sfoggiando i suoi miracolosi filati, ma anche un registro centrale e grave naturalmente corposo) che al dettato espressivo del personaggio. Si sa che il punto in cui tutti aspettano la protagonista è il famigerato monologo di Fedra e in generale i passaggi “parlati”, e la Mosuc li domina con senso vivo del teatro, vestendoli del suo fascinoso divismo. Il punto più commovente lo raggiunge nel finale, quando crea un livello di tensione tale che il pubblico non riesce per immobilizzazione emotiva a reagire subito. Complice lo spettacolo di Arnaud Bernard (forse impensabile senza il contributo della Mosuc), il quale proprio nella scena della morte della protagonista raggiunge il suo acme emotivo. Solo il corpo di Adriana si spegne secondo Bernard, il suo spirito raggiunge il finto proscenio (lo spettacolo è interamente costruito come se si fosse dietro le quinte di un teatro) e si inchina al suo pubblico, avvolto dalle accecanti luci della ribalta. Le referenze visive che Bernard dona durante tutto lo spettacolo sono raffinate, estetiche e sempre ben realizzate. Il regista francese è uomo di teatro e di cultura e sa restituire perfettamente tutte le atmosfere della vicenda con profonda conoscenza della partitura e delle sue più innate vibrazioni. Come sempre preziosissimi i costumi di Carla Ricotti e indovinate le coreografie di Gianni Santucci, con evidenti rimandi al mondo della danza del primo Novecento e a figure come quella di Loie Fuller.

©ORW-Liège-J.Berger

La stessa sensibilità non si riscontra purtroppo nella direzione del Mº Christopher Franklin, il quale spinge a qualche sonorità eccessiva l’orchestra, con il risultato di qualche occasionale squilibrio con il palcoscenico. 

Accanto alla Mosuc una compagnia valorosa. Luciano Ganci è un Maurizio dotato di esuberanza e spontanea solarità, riuscendo a gestire con capacità sia il lirismo che la vena eroica del personaggio. 

Il Michonnet di Mario Cassi ha dalla sua la schiettezza vocale del baritono toscano, mentre la Principessa di Bouillon di Annamaria Chiuri si giova del suo importante mezzo vocale e della sua innata verve e veemenza espressiva. 

Bene gli altri Mattia Denti (Principe di Bouillon), Pierre Derhet (Abate di Chazeuil), Luca Dall’Amico (Quinault), Alexander Marev (Poisson), Hanne Roos (Madamigella Jouvenot), Lotte Verstaen (Madamigella Dangeville) e Benoît Delvaux (Maggiordomo).

Al termine un calorosissimo successo per tutti. 

Liège, 18 aprile 2023

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