È andata in scena in un’Arena gremitissima la prima del terzo titolo in cartellone per il Festival 2017: Rigoletto. Il capolavoro verdiano ritornava in anfiteatro nella ormai storica produzione firmata per le scene da Raffaele Del Savio e per la regia da Ivo Guerra, che debuttò in Arena nel 2003. Lo spettacolo si rifà alla prima edizione areniana di Rigoletto del 1928, a cui si ispirano gli affascinanti fondali dipinti e i grandi tableaux visivi di suggestivo impatto. Si tratta di una produzione in cui il ritmo teatrale è serrato e non conosce interruzioni. In questo frangente una immensa lode va alle maestranze dell’Arena di Verona, che hanno sbrigliato eccellentemente un intoppo scenico nel primo atto, in cui uno dei pannelli scorrevoli che creava l’ambiente del palazzo ducale è rimasto incastrato. Quello di Del Savio/Guerra non è certamente un’edizione eversiva, ma garantisce una teatralità serrata e un ritmo incalzante. Probabilmente si sarebbe potuto lavorare di più sui movimenti dei personaggi, abbandonati spesso alle loro personali capacità teatrali o ad una recitazione datata. Una guida più decisa sarebbe stata utile soprattutto per il baritono del title-role. Bellissimi e giustamente ricchi i costumi di Carla Galleri.
Il punto debole era la direzione di Julian Kovatchev, che risulta troppo lenta e con una paletta di colori ridotta. Il gesto non è sempre chiaro e nonostante una solidità comprovata nell’accompagnare i cantanti, avremmo preferito una più densa teatralità e una scala di sfumature più ampia. L’orchestra suona comunque molto bene e il coro rimane una stella, diretto da Vito Lombardi.
Bene si comportano Lara Lagni (Paggio della Duchessa), Omar Kamata (Usciere di corte), Marina Ogii (Contessa di Ceprano) e Dario Giorgelè (Conte di Ceprano).
Ottimi Francesco Pittari (Matteo Borsa) e Marco Camastra (Marullo). Abbastanza bene Nicoló Ceriani nel non facile ruolo di Monterone.
Andrea Mastroni e Anna Malavasi sono bravissimi nei panni di questi due fratelli -Sparafucile e Maddalena- immersi nell’oscurità del male: lui con la sua voce di timbro imponente e un fraseggio affilato come la lama di un coltello e lei con la pastosità vocale e la sensualità dell’interprete.
La voce e la personalità di Gianluca Terranova sono cresciute dal debutto areniano nel 2008. Ma non è cambiato il carisma e la solarità di una voce dal colore all’italiana, capace di sfumare a dovere e di donarsi al pubblico, che lo acclama.
Elena Mosuc è una Gilda che si può ormai definire storica. E anche questa volta lo ha dimostrato con un’interpretazione intensa e matura. Vocalmente sa costruire un personaggio profondo, struggente, che fin dall’inizio è piegato dalle sofferenze che la vita le ha posto. Nella scena della tempesta aggiunge il sovracuto come faceva anche Juan Sutherland e nel finale ci conquista con accenti drammatici e commossi.
Amartuvshin Enkhbat ha ottenuto un grande successo come Rigoletto e volentieri ci aggiungiamo anche noi, nel fargli un grande applauso. Vocalmente il giovane baritono mongolo (30 anni) non sbaglia un colpo. L’emissione è sempre sul fiato, la dizione è praticamente perfetta, marmorea, il timbro bellissimo e rotondo e un volume vocale notevole. Ora speriamo che l’interprete cresca di pari passo al cantante e sappia approfondire sia teatralmente, che a livello di fraseggio un personaggio così complicato. Debuttare in Arena con un ruolo così monumentale è una sfida, diremmo vinta appieno da Enkhbat, viste le incessanti richieste di bis del “Si, vendetta, tremenda vendetta..”, concesso come si conviene ad un grande buffone di corte.
Al termine uno grandissimo successo per tutti.
Francesco Lodola
Verona, 1 luglio 2017
Foto Ennevi per Gentile concessione Fondazione Arena di Verona
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