
Qual è la miglior compagnia per finire l’anno se non una vedova, possibilmente allegra? il Teatro Filarmonico a così accompagnato il proprio pubblico sul finire del 2017, con una serie di recite fuori abbonamento della magnifica produzione di proprietà della Fondazione Arena di Verona. Ancora una volta la regia di Gino Landi unita alle scene di Ivan Stefanutti, creavano la magia che all’aprirsi del sipario conquistava tutti: atmosfera d’altri tempi, svolazzare di costumi in un eterno valzer malinconicamente sorridente. Ci sono due scene in particolare che lasciano sempre a bocca aperta: una è l’entrata di Hanna, scendendo da un grande scalone, attorniata dagli uomini dell’ambasciata, con un grande mantello oro; l’altra è quando nel padiglione del giardino del II atto, le due statue prendono vita e danzano. Meravigliosi i costumi di William Orlandi.
Il corpo di ballo dell’Arena di Verona scatenava gli animi nel Can Can inesauribile del III atto, sulla musica dal balletto “Gaité Parisienne” di Jacques Offenbach e Manuel Rosenthal.

Tutta l’attenzione veniva catturata come sempre dall’irresistibile Signorina Nijegus di Marisa Laurito, attrice impareggiabile per l’abilità di improvvisazione e l’ironia solare e raffinata, con quella vena travolgente partenopea, che ne fanno un personaggio imprescindibile. Gli è “spalla” perfetta Giovanni Romeo, artista che continuiamo ad apprezzare: attore irrefrenabile, l’unico capace di rispondere “a tono” alla Laurito, improvvisando con lei ogni sera e cantante non meno rilevante con una voce timbratissima e capacità comunicativa anche vocale veramente sorprendente: un vero animale da palcoscenico.
In questa recita brillavano nei due ruoli femminili principali Elisa Balbo (Hanna Glavari) e Lucrezia Drei (Valencienne).

Hanna Glavari è legata tradizionalmente all’interpretazione di grandi cantanti, spesso in avanzata carriera, che mettono in scena il loro armamentario divistico. Spesso però ci si dimentica che questa Vedova è una ragazza giovane, che grazie alla sua bellezza è riuscita a sposare Glavari. Quindi le critiche che si potrebbero muovere ad Elisa Balbo e alla sua “presunta giovinezza” rispetto al ruolo, cadono nel vuoto, davanti ad una prova davvero convincente. La voce di soprano lirico puro è timbricamente molto bella, squillante in alto e capace di flessuosi pianissimi, che splendevano morbidamente nel Vilja Lied, davvero ben cantato. Scenicamente è poi tutt’altro che inerte, anzi sa muoversi con grande eleganza nei sontuosi abiti di Orlandi (molto diversi dagli “stracci” a cui sono abituate le cantanti nel 2017): è una giovane donna che sa perfettamente come si muove il mondo, ma allo stesso tempo ha delle sue fragilità (“Il cavalier ch’io voglio è un tal che finger sa così come se io non fossi qui!… “) e la Balbo riesce a trasmettere bene tutto questo.

Lucrezia Drei è la perfetta Valencienne, soubrette quando è il momento di esserlo, ma anche liricissima. Vocalmente si evidenzia per un canto sempre sulla parola, senza cadute nel parlato (soprattutto nel quadro delle grisettes dove il rischio è sempre in agguato), e un’eleganza di fraseggio da lodare. Attorialmente è bravissima, sempre asciutta e con un’ironia aristocratica che ce la rendono un personaggio divertente e che ispira simpatia. Con la Balbo forma una coppia formidabile nel finale del II atto, rendendo quella scena uno dei momenti migliori della serata.
Camillo de Rossillon era l’ottimo Francesco Marsiglia, che nonostante qualche nota acuta non sempre centrata, convinceva per il fraseggio lineare, la freschezza vocale e anche una presenza scenica più centrata e convinta, rispetto all’altro interprete.
Enrico Maria Marabelli canta convincentemente Danilo, ma non riesce fino in fondo ad coinvolgerci. Non ha quel fascino anche un po’ “maudit” che il personaggio dovrebbe avere e la freschezza di questo latin lover incallito.

Tra le parti di fianco troviamo solo due prove che riteniamo del tutto centrate e sono quelle di Andrea Cortese, capace di creare una caratterizzazione divertente per Kromow, e Francesco Paolo Vultaggio, Cascada dalla voce importante, per cui voteremmo sicuramente.
Discreti Stefano Consolini (Raoul de St. Brioche), Daniele Piscopo (Bogdanowitsch) e Nicola Ebau (Pritschitsch). Le donne sono teatralmente meno convincenti, Lara Rotili (Olga) e Serena Muscariello (Sylvaine), e la palma della migliore va a Francesca Paola Geretto, Praskowia.
Sergio Alapont dirigeva la serata con eleganza, sostenendo con grande capacità il palcoscenico, donando come alla prima (qui la recensione) il giusto effetto, a questa musica malinconica e travolgente. Come sempre superba prova dell’orchestra e del Coro dell’Arena di Verona.
Grandissimo successo.
Francesco Lodola
Verona, 29 dicembre 2017
Foto Ennevi per Gentile Concessione Fondazione Arena di Verona