In occasione del nuovo allestimento de “I Masnadieri” al Teatro dell’Opera di Roma, opera rappresentata una sola volta al Costanzi nel 1972, abbiamo intervistato il tenore Stefano Secco, una delle più acclamate e consolidate voci italiane nel panorama internazionale, particolarmente legato al repertorio verdiano. Il pubblico romano ha recentemente potuto apprezzare le sue performance in Manrico de “Il Trovatore” nel 2016 e ancora prima di Edgardo in “Lucia di Lammermoor” nel 2015.
Come si è avvicinato al mondo del canto e dell’opera?
È stata una cosa molto naturale, sin da bambino in casa si ascoltavano molti generi musicali tra cui l’opera lirica, la cosa curiosa è che mi ero appassionato praticamente da subito al registro tenorile senza sapere quale poteva essere la mia corda.
Ormai è un veterano dell’Opera di Roma: come si trova a lavorare qui a Roma e quali sono le differenze tra l’Italia e i teatri Esteri nella preparazione di un opera?
Si lavora molto bene e incessantemente, nonostante tutto si vorrebbero sempre più prove per approfondire il personaggio da interpretare. Oramai si sono molto standardizzate le cose, direi che sono molto simili gli approcci alla preparazione: in Italia si sente molto di più la responsabilità che l’opera è parte integrante della nostra cultura, inevitabilmente c’è molta pressione, all’estero si affronta con più tranquillità.

Lei che ha interpretato moltissimi ruoli verdiani, cosa ci può dire di questo autore e quali sono le caratteristiche della voce verdiana?
È un autore di non facile esecuzione che come dicevano i “vecchi maestri” insegna a cantare. Richiede sempre un cantabile morbido nella zona di passaggio, la zona più difficile da governare per la voce. Le caratteristiche della voce verdiana sono un legato morbido, espressione chiara del testo è come nel caso dei Masnadieri anche un buon declamato.
Quanto è importante specialmente in Verdi il testo e le indicazioni del Maestro?
Importantissimo, proprio per trovare il colore giusto: Verdi spesse volte scrive indicazioni che vanno rispettate e che differenziano molto la drammaturgia della frase, marca come “cupo” certi passaggi per dare l’idea del buio e della disperazione che deve trasparire dal colore del suono e dalle parole. Il Maestro Abbado impegnato con me in questa produzione segue le molte indicazione anche con le tinte orchestrali.
Come si sente a cantare il ruolo di Carlo nei Masnadieri, un titolo poco rappresentato rispetto agli altri titoli verdiani?
È sempre interessante avere la fortuna di poter eseguire anche le opere meno conosciute poiché aiuta a capire un percorso compositivo fatto dall’autore ed il perché si è arrivati poi in età matura a scrivere le opere considerate “capolavori”. Vocalmente come dicevo prima, tutto questo insegna molto.
Cosa ci può dire e raccontare di questo nuovo allestimento?
È un allestimento classico, con pochi elementi scenici ma molto efficace. L’azione è stata predatata rispetto all’ambientazione originale ma ciò non toglie nulla dal punto di vista drammaturgico.
Le piace lavorare in allestimenti non consuetudinari?
Quando non ci sono troppi elementi di “disturbo” al canto mi piace e questo allestimento trovo che sia molto rispettoso in questo senso: la preoccupazione mia è sempre di cercare di rendere al meglio seguendo le indicazioni del regista.
Come avviene per lei lo studio di un personaggio, sia vocalmente che scenicamente? Parte innanzitutto dal testo che mi aiuta a capire quali frasi vanno marcate di più, molto importante è poi la combinazione musicale che deve collimare con le intenzioni del testo, dopodiché comincio a pensare all’azione scenica, sia vocalmente che scenicamente ci si confronta sempre con i maestri che hanno delle volte diverse interpretazioni e possono arricchire con elementi molto interessanti il personaggio.
C’è un autore a cui si sente particolarmente legato oltre che come cantante, anche come ascoltare?
Non ho particolari preferenze se non affettive: sono legato a Verdi e Puccini perché ho debuttato prima nel Falstaff di Verdi a Sassari ed in contemporanea nella Bohème di Puccini al Teatro Regio di Parma. Ascolto molto anche l’opera francese.
È importante lo studio anche a carriera avviata? Sente il bisogno di essere seguito ancora oggi da un insegnante?
È importantissimo, bisogna mantenere sempre la voce fresca e senza studio questo non può avvenire. Per quanto riguarda l’insegnante direi proprio di sì, ma essendo sempre itinerante, mi avvalgo di un registratore a tutte le prove per controllare da me stesso il mio operato.
Quale consiglio si sente di dare ai giovani che vogliono intraprendere la via della musica?
Consiglio di coltivare la propria passione, il canto ed il mestiere se così si può definire di cantante è un privilegio, mi commuovo a pensare a quello che ti può dare in termini di soddisfazione. La strada è difficilissima come in tutti i lavori, solamente con la passione si possono trovare gli stimoli necessari per andare avanti e credere nelle proprie qualità.
Grazie a Stefano Secco per la disponibilità e In bocca al lupo!
Sara Feliciello e Paolo Mascari