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©Yasuko Kageyama/Opera di Roma

Domenica 4 febbraio è andata in scena l’ultima recita de “ I Masnadieri” al Teatro dell’Opera di Roma. Un’opera mancante dalle scene del Costanzi dal 1972, quando fu messa in scena sotto la bacchetta di Gianandrea Gavazzeni e fra gli interpreti figuravano nomi quali Ilva Ligabue (Amalia) Gianni Raimondi (Carlo), Renato Bruson (Francesco) e Boris Cristoff (Massimiliano). Dunque alte erano le aspettative per il ritorno di un’opera verdiana considerata “minore”, ma che, come ha saputo brillantemente spiegare il Maestro Roberto Abbado durante la conferenza stampa, minore non è , infatti questo aggettivo non può essere attribuito a Verdi in nessuna delle sue composizioni, anche quelle meno rappresentate e che forse non figureranno fra i capolavori verdiani, ma che sicuro non sono “minori”.
Perciò non sorprende che l’esito della serata sia stato un trionfo che, oltre ad essere imputabile ad un cast di eccellenze tutte italiane, per quanto riguarda la recita del 4 febbraio a cui si fa riferimento; sono riconducibili anche alla direzione magistrale del maestro Abbado e del coro dei Masnadieri magnificamente preparato dal maestro Gabbiani e al clima che la regia di Massimo Popolizio ha saputo creare.
5a66082b05d4d386104905Iniziamo appunto da questo ultimo aspetto: si è apprezzato di Massimo Popolizio, al suo debutto alla regia di un’opera, un clima fosco e tetro che ha caratterizzato tutti i momenti dell’opera, con colori scuri nelle scene di Sergio Tramonti e nei costumi a cura di Silvia Aymonino. Inoltre d’impatto sono state le proiezioni video di Luca Brinchi e Daniele Spanò, le quali accompagnavano il flusso di pensieri dei protagonisti durante le romanze verso lo sguardo del personaggio a cui quei pensieri erano volti. Ciò che lascia perplessi di un allestimento , nella sua complessità piacevole, sono state una eccessiva staticità dei personaggi e del coro, accompagnata da una mancanza di  zelo e aggressività da parte dei Masnadieri, altri protagonisti insieme ai personaggi solisti.

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©Yasuko Kageyama/Opera di Roma

Il cast ha portato a termine un’operazione di altissimo livello artistico , reggendo pienamente il confronto con gli interpreti della messa in scena del ’72. Partiamo da i due fratelli protagonisti della vicenda: Giuseppe Altomare, in sostituzione di Artur Ruciński indisposto, ha saputo ben tenere il complesso temperamento di Francesco, con una voce di grande volume e di bellissimo timbro che ha senza difficoltà “bucato” l’orchestra anche nei momenti di maggiore intensità orchestrale, sebbene in alcuni punti  la voce  risultasse un po’ ”intubata”.

Stefano Secco , interprete di Carlo, ha stupito per la precisa dizione che dimostra la sua personale esperienza nel repertorio verdiano, dando immensa importanza alla parola, e per un bellissimo timbro argenteo omogeneo in tutti i registri. Anche se talvolta  negli insiemi veniva  coperto dalla mole del coro e dell’orchestra, ciò non ha compromesso l’esito di una recità magnifica.

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©Yasuko Kageyama/Opera di Roma

Roberta Mantegna , oramai di casa al Costanzi dopo il diploma presso la “fabbrica” del Teatro, ha saputo dare corpo e voce al difficile personaggio di Amalia, ciò che si ricorda sono sicuramente i centri pieni e rotondi, il grande volume vocale, il timbro pastoso ed una spigliatezza nelle agilità richieste dal ruolo ed una considerevole facilità negli acuti.

Il ruolo di Massimiliano è stato sostenuto da Riccardo Zanellato, autorevole voce di basso del panorama internazionale che non ha tradito le aspettative, con il suo timbro immediatamente riconoscibile.

Degni di lode e all’altezza dell’intero cast sono stati Saverio Fiore, nel ruolo di Arminio, Dario Russo, nel ruolo di Moser e Pietro Picone nel ruolo di Rolla. Infine concludiamo con una lode al Maestro Abbado, che ha preparato e diretto egregiamente l’orchestra del Teatro dell’Opera di Roma, e al Maestro Gabbiani , grazie alla sua preparazione, conferma sempre il risultato eccezionale ottenuto dal Coro.

Paolo Mascari

Roma, 4 febbraio 2018

 

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