“Mater artium necessitas” tradotto in italiano come “La necessità è la madre delle abilità”; non potrebbe esserci proverbio più adatto a descrivere le vicende legate alla produzione della Salome Straussiana al Teatro Regio.
Lo spettacolo, fulcro fondamentale del Festival dedicato a Richard Strauss, che segue al Festival Alfredo Casella del 2016 ed al Festival Antonio Vivaldi del 2017, era stato pensato come progetto “Strauss-Carsen” da intrecciare a quello avviato due anni or sono “Janáček-Carsen”, il quale avrebbe visto la regia firmata appunto da Robert Carsen, con il medesimo allestimento torinese del 2008.
L’improvviso incidente, avvenuto il 18 gennaio scorso durante la terza recita di Turandot, ha però condotto alla momentanea impossibilità di presentare un allestimento scenico, a causa della serie di controlli tecnici alle macchine del palcoscenico; da qui la volontà di non annullare la messa in scena di un titolo così importante per la stagione, presentandolo dunque in forma semiscenica, e affidando la nuova versione a Laurie Feldman.
Nonostante, a causa delle evidenti difficoltà scaturite, le aspettative non fossero particolarmente felici, si è in realtà delineato un piacevolissimo spettacolo sì necessariamente minimalista, ma funzionalmente introspettivo, che ha colto lo spirito del compositore, dando ampio spazio alla musica, e riuscendo al tempo stesso a rendere approfonditamente l’atmosfera di inquietudine che avvolge l’intera opera.
La vicenda si è così svolta in uno spazio di pochi metri quadrati, corrispondente pressoché alla ribalta,
delimitato da un fondale nero, e con unici elementi scenici una decina di sedie.
Particolarmente centrato ed espressivo il momento della danza dei sette veli, che inizia nell’immobilità e si conclude col sogno di Salome di un intimo contatto con Jochanaan, che tramuterà presto nell’incubo di una violenza da parte di Herodes.
L’intimità, l’inquietudine, ed il senso di straniamento sono perfettamente resi anche dalle luci di Andrea Anfossi.
Semplici, eleganti e moderni i costumi a cura di Laura Viglione.
Sul versante musicale il maestro Gianandrea Noseda, al suo terzo impegno operistico della stagione al Regio, dirige l’orchestra torinese caricando la partitura di colore, suono, impeto, tensione in momenti di altissimo livello, raggiungendo un pathos continuo e lussureggiante, che si scioglie estaticamente senza fine.
Il soprano svedese Erika Sunnegårdh interpreta la protagonista Salome con una notevole cura nel fraseggio e un bellissimo timbro chiaro e luminoso, ma con difficoltà vocali negli acuti oscillanti e nelle note gravi che perdono di spessore e intensità, e con un volume che è parso spesso non all’altezza del ruolo, tanto da essere più volte sovrastato dall’orchestra.
Herodes è interpretato dal tenore Gerhard Siegel, subentrato all’ultimo ad un indisposto Robert Brubaker.
Siegel è probabilmente il vero trionfatore della serata, il quale ha delineato un Tetrarca estremamente sicuro sia scenicamente, nella costruzione di un ruolo caratterialmente complesso e a tratti morboso, sia nell’impervia parte vocale, curata nel fraseggio e negli acuti sempre perfettamente centrati, grazie ad una tecnica impeccabile.
Altra trionfatrice il mezzosoprano tedesco Doris Soffel, che alla soglia dei settant’anni conserva sicurezza e volume vocale nonostante qualche acuto non perfettamente centrato ma che, sia una lunga e logorante carriera, sia il ruolo stesso, in un certo senso consentono, soprattutto se compensati da una presenza scenica magnetica, elegante, sofisticata e travolgente, perfettamente centrata con un altro ruolo psicologicamente complesso come quello di Herodias.
Molto buona la prova del baritono Tommi Hakala, vocalmente e scenicamente autorevole, che risulta in realtà più centrato nel ruolo di Jochanaan che in quello di Ford, interpretato nel Falstaff dello scorso novembre sempre al Regio.
Ottima per timbro, sicurezza e purezza dell’emissione, il tenore Enrico Casari, nella parte, pur breve, di Narraboth.
Vocalmente e scenicamente riuscite le numerose parti comprimarie, a cominciare dal paggio di Erodiade Michaela Kapustová, proseguendo con i cinque giudei Gregory Bonfatti, Matthias Stier, Saverio Pugliese, Yaroslav Abaimov e Horst Lamnek; i due nazareni Roberto Abbondanza e Joshua Sanders; i due soldati Andrea Comelli e Federico Benetti; un uomo di Cappadocia Enrico Bava e uno schiavo Raffaella Riello.
Stefano Gazzera