Per circa 648 serate è stata Violetta ne “La Traviata”, incarnando un personaggio unico, un’interpretazione che ha fatto storia. Ridendo ricorda sempre quanto le fanno male le ossa per tutte le volte che è “morta” in scena. Ma la carriera di Virginia Zeani non è stato solo questo. È stata la carriera di un’artista che ha dato tutta la sua luce all’essenza della Diva. Un percorso costellato da trionfi, in tutti i grandi ruoli del repertorio sopranile, abbracciando dal canto di coloratura a quello pucciniano e delle giovane scuola, fino ad arrivare al Novecento di Poulenc. Quello è che forse viene trascurato della grande Diva romena è il contributo fondamentale alla Rossini Reinassance, vera anticipatrice, insieme a Maria Callas, di quell’oceano di entusiasmo melomaniaco e filologico vero il cigno pesarese.
Quella della Zeani è una voce che sa sciorinare vezzosamente le volatine e i picchiettati di Olympia, ma altrettanto aggredire con impeto le brucianti cabalette di Donizetti e Verdi. Possiede un colore intenso, un centro corposo, e una capacità di accenti scaltrita, da vera dicitrice, ma con la sapienza stilistica di un’autentica belcantista.
Nel 1956 per la prima volta si dava “Il Barbiere di Siviglia” all’Arena di Verona, con una compagnia di canto eccezionale: Ettore Bastianini, Cesare Valletti, Renato Capecchi, Giulio Neri e la Rosina sopranile (che diverrà una tradizione areniana) della Zeani. Chi era presente ha definito leggendarie quelle serate, anche grazie al soprano di Solovastru, che sapeva essere giustamente civettuola, senza però bamboleggiare, anzi donando la sua vocalità sontuosa al virtuosismo di Rosina, nata per il Mezzosoprano, quindi senza fare bizzarri compromessi con la vocalità, alterandone la scrittura.
Solo due anni prima al Piccolo Teatro di Firenze, aveva interpretato la Contessa Adele ne “Il Conte Ory”. Fortunatamente ci è pervenuta una registrazione della grande aria “En proie à la tristesse”, qui cantata in italiano, “In preda alla tristezza”. Se lo stile della concertazione, i tagli non appartengono più al nostro gusto, non si potrà che rimanere affascinati dall’interpretazione calorosa, ironicamente sottile e sensuale, con sfoggio di note acute lucenti e vibranti di glamour. Forse non è una lettura pirotecnica e straripante di variazioni iperboliche (ma d’altronde la Zeani non è mai stata un usignolo meccanico), ma è una lezione di stile, per tutte quelle artiste che infarciscono questa pagina di abbellimenti “liberty” e quindi assolutamente fuori stile. La Diva Zeani colpisce perfettamente quello che è il fulcro del canto rossiniano: suggerire le emozioni, non esibirle.
Nel 1954 Virginia Zeani debutta al Teatro dell’Opera di Roma con la sua Violetta, cominciando una relazione ininterrotta con questo teatro, che durerà fino al 1976. La Zeani farà a Roma, quello che la Callas fece a Milano. Diventa la Primadonna di casa, cantando un repertorio che va da Elvira dei Puritani, i quattro ruoli femminili de “Les Contes d’Hoffmann” (prima artista a interpretarle tutte nella stessa sera, a Elsa di Lohengrin e Senta dell’Olandese volante. In questi trent’anni di Dolce vita romana la diva romena realizzerà in particolare un’interpretazione storica, Desdemona nell’Otello rossiniano. La prima volta nel 1960 negli studi della Rai, poi in scena nel 1964 al Costanzi, nel famoso allestimento di Giorgio De Chirico, diretta Carlo Franci. L’anno dopo sarà la sfortunata amante del moro al Teatro Rossini di Pesaro e poi nel 1966 alla Deutsche Oper di Berlino. Interpretazione paradigmatica per la rotondità della vocalità perfetta per i ruoli Colbran. Basterebbe sentirla intonare la Canzone del Salice, in cui riesce a trovare nella sua rigogliosità vocalità, i toni della malinconia, della tristezza, una perfetta sublimazione musicale, un momento di canto assoluto e assolutamente sincero. In questi anni questa vocalità viene attribuita a due tipi di cantanti: il mezzosoprano acuto e il soprano leggero. Due vocalità assolutamente differenti, che pongono all’attenzione solo alcuni aspetti del personaggio. La verità sta nel mezzo. La vocalità della Desdemona rossiniana non è poi così diversa da quella verdiana: si tratta di un soprano lirico, lirico-spinto, capace di “scendere” nel grave con eleganza e di “salire” all’acuto, con morbidezza e cremosità. Per questi motivi l’interpretazione della Zeani è da ritenere storica e di modello per tutte le interpreti che si vogliono accostare a questo meraviglioso titolo rossiniano.
Nel 1965 d’altronde il Teatro San Carlo di Napoli la vide trionfare nel ruolo del titolo in “Zelmira”. Grazie al cielo è sopravvissuta una registrazione di quelle serate, che ci fa sentire una presenza vocale e interpretativa di straordinario spessore artistico ed emozionale. Anche qui l’ascolto lo testimonia. La facilità con cui tutti gli ostacoli vengono superati, e soprattutto la perfetta cifra stilistica che la Zeani impone: riesce a creare quella sensazione adrenalinica (di cui già in queste pagine abbiamo parlato) che è poi la vera caratteristica del “crescendo rossiniano”. Sentendo questa registrazione l’unico rimpianto che viene è che la primadonna rumena non sia riuscita ad affrontare Ermione, titolo riscoperto più tardi, e che sembra tagliato sul temperamento della Zeani.
A tutto questo poi si deve aggiungere il fascino scenico che Virginia Zeani aveva, l’incanto della figura, il potere attrattivo di un magnete. E quegli occhi azzurri che tutti ricordano con incanto e che ancora oggi sono così vividi di entusiasmo.
Grazie Virginia per la tua arte inesauribile!
Francesco Lodola