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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Spesso si dice, soprattutto in questi giorni di rilancio, che l’Arena di Verona deve essere “La Scala dell’estate”. Noi diciamo La Scala, ma anche il Metropolitan estivo, come ci conferma questo spettacolo che non sfigurerebbe sulle scene del Met, dove è abitudine consolidata quella dei Gala con più atti di diverse opere. All’Arena di Verona si celebrano tutte le sfumature di Verdi, compositore simbolo delle estati veronesi con la sua Aida. Niente di nuovo sotto il sole: nel 2013 il Gala verdiano del Bicentenario era praticamente identico, ossia la trilogia popolare. Sarebbe stato più interessante vedere un Gala con opere che in Arena non si vedono da decenni: buona premessa è la presenza della Sinfonia dell’innominabile Forza del destino, che speriamo presto di rivedere completa nell’anfiteatro scaligero.

Un Gala, soprattutto se “monografico”, come questo, ha il compito di presentare delle eccellenze, dei punti di riferimento rispetto all’interpretazione di quella musica. All’Arena avevamo indubbiamente una parata di stelle, ma non tutte sempre all’apice delle proprie possibilità. Dispiace anche il taglio del da capo delle cabalette del Duca di Mantova e di Manrico. In un gala verdiano nel 2018 non si possono più tagliare. Ne è risultata comunque una serata brillante, ma non sempre di grandi emozioni.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Efficace ed elegante l’impianto scenico disegnato da Michele Olcese, che riprendeva gli elementi di alcune messe in scena areniane, utilizzando le magnifiche proiezioni di Sergio Metalli e le luci curate da Paolo Mazzon. Lineare la regia di Stefano Trespidi, capace di far muovere diligentemente le grandi masse.

Elegante la coreografia di Luc Bouy per la Sinfonia della Forza, efficacemente interpretate dal corpo di ballo dell’Arena coordinato da Gaetano Petrosino.

Andrea Battistoni dirigeva la serata con sicurezza e maestria, scegliendo tempi serrati e privilegiando la compattezza del suono. Gli perdoniamo qualche esagerazione, soprattutto nella Sinfonia della Potenza del fato, dove si lasciava andare a qualche effetto di troppo. Pochi sono in grado di gestire il podio areniano con la sua fermezza. Benissimo suonava l’orchestra e magnifico era il coro diretto da Vito Lombardi.

Veniamo ai grandi cast proposti.

Rigoletto – Atto II

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Rame Lahaj è un tenore di bella voce lirica, con un certo appeal timbrico. Molti pensano al Duca di Mantova, legandolo alla spavalderia de “La donna è mobile”, in realtà Verdi piazza all’inizio del II atto uno dei recitativo, aria e cabaletta più difficili, dove quasi tutti cadono. Bisogna rendere le mille nuances di queste pagine, “l’innamoramento” e subito dopo (ci si passi il termine), “l’infoiatura” di questo stupratore seriale. Lahaj non conquista, cantando elegantemente ma piuttosto monocromaticamente e senza lo squillo necessario, pur avendo un physique du rôle che giova alla definizione del personaggio. Dopo i magnifici Amonasro e Nabucco, Luca Salsi vestiva i panni del buffone di corte. Non è un personaggio che è perfettamente nelle sue corde, e così rimane un’interpretazione ben calibrata e studiata, ma non c’è ancora quella compenetrazione perfetta con il personaggio.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Brilla l’astro di Lisette Oropesa, vera trionfatrice della serata, al suo debutto in Arena. Una voce angelicata che corre alla perfezione in teatro, sempre con morbidezza e con una delicatezza e sincerità espressiva commovente. Speriamo di poterla risentire presto qui…magari Violetta nel 2019.

Bene accanto a loro Biagio Pizzuti (Marullo), Carlo Bosi (Matteo Borsa), Romano Dal Zovo (Il Conte di Ceprano), Nicolò Ceriani (Il Conte di Monterone), Gocha Abuladze (Usciere), Barbara Massaro (Paggio della Duchessa).

Il Trovatore – Atto III

Bene Simone Piazzola come Conte di Luna, nelle poche frasi a lui destinate, cantate con autorevolezza. Sempre unica Violeta Urmana nei panni di Azucena, di cui ricordiamo ancora l’interpretazione memorabile del 2016. Una grande artista che non smette mai di rammentarci la magnificenza della sua arte.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Francesco Meli affrontava con coraggio il vero momento di Manrico nel Trovatore, pagine che fanno tremare molti tenori. Lui vince per lo splendore vocale, il gioco delle smorzature e l’eleganza della linea e dell’espressività. In questo modo “Ah sì, ben mio, coll’essere…” risultava una vera perla di Belcanto. Non furoreggia nella pira, ma ce ne facciamo una ragione, viste le meraviglie vocali precedenti. Ottimo il cammeo di Serena Gamberoni nel ruolo di Leonora. Benissimo accanto a loro i preziosi Romano Dal Zovo (Ferrando) e Carlo Bosi (Ruiz).

La Traviata – Atto III

Debuttava in Arena la giovanissima Maria Mudryak, che convinceva con la sua emozionata Violetta, grazie ad una voce di solida timbratura e a una bella attorialità. C’è sicuramente qualcosa da migliorare, sia da un punto di vista tecnico che interpretativo, ma sicuramente l’emozione ha anche giocato un suo ruolo e quindi ci sentiamo di premiarla.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Accanto a lei non demeritava l’Alfredo di Luciano Ganci, che nonostante un’entrata in ritardo nelle frasi di ingresso, convinceva per la vocalità solare e per la schiettezza espressiva. Bene Simone Piazzola nel suo cavallo di battaglia, Giorgio Germont. Così come convincevano le prove di Martina Gresia (Annina) e Romano Dal Zovo (Dottor Grenvil).

Alla fine un grande trionfo con tutto il cast alla ribalta, che trascinava verso il plauso del pubblico anche la sovrintendente Cecilia Gasdia.

Francesco Lodola

Verona, 26 agosto 2018

Foto Ennevi per Gentile concessione Fondazione Arena di Verona

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