“È difficile trovare una Violetta più intensa e commovente di quella ritratta da Lana Kos”: così raccontavamo durante l’estate l’interpretazione della Traviata del soprano Lana Kos, una delle stelle più brillanti nel panorama operistico internazionale. Abbiamo avuto in queste settimane il grande piacere di poter incontrare nuovamente l’artista (qui per leggere la nostra prima intervista) e di poterci confrontare insieme a lei sull’evoluzione della sua carriera e degli emozionanti incontri con i suoi numerosi personaggi.

Quest’estate hai ripreso la tua Violetta all’Arena di Verona, ruolo che segnerà anche il tuo ritorno al Teatro Real di Madrid: com’è cambiata la tua Traviata dopo aver affrontato molti altri ruoli verdiani?

Ogni volta bisogna studiare il ruolo come se fosse la prima volta, non si può trascurare nulla: è importante conoscerne ogni piega, capire il suo stato di salute. Quando ho affrontato per la prima volta questo personaggio, all’età di ventuno anni (come la Marguerite del libro), Hugo de Ana mi portava decine di pagine da enciclopedie mediche per discutere e capire cosa avviene in una persona affetta da una patologia del genere. Il “gioire” della Violetta del I atto non è reale, non sono colorature di semplice felicità ed euforia, rispecchiano invece un momento di dubbio del personaggio e in qualche modo anche di disperazione. La festa di Violetta non è una festa abituale, è un occasione speciale: è il suo ritorno in società dopo alcuni mesi di malattia. Anche quando lei ha un mancamento e un attacco di tosse non si vuole far vedere dagli altri perché sarebbero sicuramente fuggiti dalla festa…lei dipende dal suo lavoro. Questi colori, queste sue piccole paure sono importanti per capire la complessità del personaggio. E’ importante chiedersi poi perché Violetta tra tutti gli uomini sceglie Alfredo: nel libro è ancora più chiaro che nell’opera…Alfredo è l’unico che per un anno è andato sotto la sua finestra, ha suonato alla porta di casa per sapere come stava e lei dice che solo nei suoi occhi ha visto amicizia vera, un reale sentimento, come gli era accaduto un’unica volta nella sua vita, con il cagnolino che aveva quando era bambina. Per questo lei è disposta a dare tutto per Alfredo. Violetta è un mondo interpretativo. Penso alla scena della lettera, un punto culminante di tutta l’opera. La lettera innanzitutto non si legge, è l’unica medicina che Violetta possiede e l’ha letta tutti i giorni per tutto il tempo, la sa a memoria. E non solo la conosce a memoria, ma ogni parola per lei è vita, è speranza di potercela fare ancora. Quando dice “E’ tardi” Verdi ha scritto: “con voce sepolcrale” e così deve essere detto, con una voce cupa, intrisa della disperazione più profonda, quella che appartiene ad una donna che è in fin di vita e che ne è pienamente cosciente.

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Ora che hai affrontato Luisa Miller, Elvira in Ernani, Leonora del Trovatore è cambiato qualcosa nel tuo approccio al personaggio di Violetta?

Violetta come dicevo l’ho debuttata a ventun anni e sicuramente sono cresciuta, questa dell’Arena è stata la mia ventesima produzione di quest’opera, dunque ogni volta trovo nuove cose, colori, emozioni, e le percepisco in maniera diversa anche con l’età. Prima quando ero più giovane in alcune frasi come “Morrò, la mia memoria…” ero molto aggressiva, mentre oggi la sento più interiore e introversa. La mia voce naturalmente è maturata come è normale, e per questo mi sono permessa di cantare anche questi ruoli verdiani più pesanti se vogliamo che fanno parte di un percorso naturale per una voce sopranile. Nel passato i soprani che nascevano come Gilda diventavano successivamente Violetta e poi affrontavano ruoli come Luisa o Leonora per arrivare poi (forse) ad essere Elisabetta in Don Carlo e Aida. Questo è il percorso che io sogno…

Nei tuoi progetti futuri pensi ci sarà Aida?

Assolutamente si: è un ruolo che debutterò presto. Ho già in programma per il prossimo anno il mio debutto come Madama Butterfly e sono felicissima. Canto questi ruoli con la mia voce che non è quella di Eva Marton tanto per fare un nome. Butterfly non è Turandot: Puccini voleva una voce lirica non troppo spinta per dare forma a questo carattere e alla sua personalità. Alla fine dell’opera Butterfly ha diciotto anni e bisogna mettere in luce fino alla fine il suo aspetto adolescenziale. Lo stesso nome “Butterfly” mette in luce tutta la sua fragilità. E’ una creatura con una grande sofferenza interiore e un grande coraggio che la porta ad uccidersi e non è facile prendere una decisione del genere: lei ha la forza per farlo sul serio. Vede il suicidio come l’unica soluzione per la sua vita di donna e di madre distrutta. Non so ancora come la farò, ma devo dire onestamente, che essendo mamma, fino ad oggi non sono mai riuscita a non piangere fin dal momento in cui lei mostra a Sharpless il bambino. Quando si è sul palco non si può piangere, perché bisogna commuovere il pubblico e mantenere un controllo emotivo per farlo. La cosa più importante è trasmettere l’emozione.

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Il pianto può essere un ostacolo per il canto, dal punto di vista tecnico?

Non mi è mai capitato di piangere così intensamente sul palco: devi trovare quella linea sottilissima tra il dare l’emozione al pubblico e sentirla tu stesso. Se non ti commuovi in prima persona e pretendi forzatamente di far commuovere gli altri non funziona.

La tua predilezione in questi anni è andata alle eroine di Verdi: qual è il loro tratto distintivo?

Le donne verdiane sono grandi personaggi che si sacrificano per grandi amori. Sono disposte a dare tutto quello che possiedono per l’uomo che amano. La domanda che mi viene spontanea interpretando questi personaggi è se oggi qualcuno si sacrificherebbe in quel mondo per amore e se arriverebbe a compiere davvero alcuni gesti delle donne di Verdi. Penso nessuno.

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Ritornando ad Aida, come vedi il tuo approccio a questo personaggio?

Molti pensano che Verdi abbia scritto Aida per una voce drammatica e forse per alcuni aspetti è davvero così: tuttavia nella scrittura di questo personaggio c’è molto Belcanto e lirismo. Talvolta le voci drammatiche trovano ostacoli nella scrittura per esempio dei Cieli azzurri, quel Do in pianissimo. Il mio modello è Montserrat Caballé e il mio lavoro ogni giorno è quello di cercare in lei sempre di più gli stimoli e i segreti per poter crescere e migliorare: lei poteva fare tutto. Per me è la più grande, con tutto il rispetto ovviamente per tutti gli altri miti del passato. La ascolto veramente quasi ogni giorno e non per imitarla ma solo per godere della sua grandezza e della sua immensa bellezza vocale e tecnica.

 

Quali sono gli altri ruoli all’orizzonte?

Mi piacerebbe ricantare Ernani, un’opera bellissima. Vorrei cantare ruoli del Belcanto donizettiano, su tutti le regine. A novembre ricanterò finalmente il Requiem di Verdi in Danimarca, dopo averlo debuttato alcuni anni fa. Amo quest’opera dove si percepisce ancora una volta la grandezza spirituale e la genialità di Verdi. Godere di questa bellezza per noi cantanti, che siamo per natura molto emotivi (almeno per quanto mi riguarda) e che sacrifichiamo molti aspetti della nostra vita a causa dei viaggi che ci tengono lontani dai nostri affetti più cari, è una gioia immensa che ci ripaga di tutti gli sforzi, e aprire uno spartito come quello del Requiem e poter esprimere con il canto tutte le emozioni di questa musica è la soddisfazione più grande. Ritornando ai ruoli devo dire che mi è stato proposto molte volte, anche recentemente di cantare Norma. Non ho mai accettato per ora, però devo dire che non l’ho mai nemmeno provata. Norma non è soltanto “Casta Diva” per cui va studiata, provata, messa in gola per capire se è adatta o meno. Sai, quando ascolto la Caballé certe volte vorrei cambiare mestiere e aprire un ristorante! (ride) Mi piacerebbe fare una pazzia e cantare di nuovo la Regina della notte, anche solo una volta, con la mia voce che è naturalmente scura ma che ha conservato i sovracuti fino al Fa, per festeggiare i miei vent’anni di carriera!

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Esiste la voce verdiana da un punto di vista concettuale e quali sono le sue caratteristiche?

La voce verdiana secondo me esiste e Verdi è uno dei compositori che, amando le voci, ha saputo scrivere per loro. Verdi ti prepara prima di arrivare ad un passaggio difficile anche se forse non ti protegge come fa Puccini, in cui talvolta puoi “nasconderti” dietro queste orchestrazioni ampie e travolgenti. Verdi amava i cantanti, amava le voci e per questo scrive in maniera che tu possa giungere alle difficoltà gradatamente e quando ci sei arrivato ti lascia “nudo”. Penso all’Addio del passato della Traviata dove hai un accompagnamento minimale e devi fare tu tutto il resto: questo è la voce verdiana. Devi possedere tutti i colori, l’espressione, il senso della parola. Io penso sempre poi che essere soprano è più difficile che essere una voce maschile per esempio (ride), perché loro sono sempre eroi, guerrieri che lanciano acuti al fulmicotone, mentre siamo noi a dover morire cantando “lassù in ciel” con Sib e Do in pianissimo! (ride) In Verdi ci vogliono tutti i colori in ogni momento!

Vesti spesso però anche i panni delle donne pucciniane…come ti trovi in questi personaggi?

Ho fatto Mimì recentemente al Teatro San Carlo di Napoli e amo Puccini. Non mi vedo ancora in Tosca, però sogno di cantare Magda de La Rondine e penso di poter affrontare anche Suor Angelica, penso sia il ruolo forse più straziante.

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Quali sono le emozioni di tornare al Teatro Real di Madrid con il tuo “cavallo di battaglia”, Violetta?

Questo teatro è assolutamente emozionante: ho fatto lì il mio debutto con Luisa Miller accanto al Maestro Nucci e al Maestro Conlon e con la straordinaria orchestra e il meraviglioso coro del teatro. E’ stato un debutto felicissimo e accolto dalla critica in maniera entusiasta con meravigliose recensioni. Sono molto grata per quel successo e sono felice di tornare con la mia amata Violetta. Non vedo l’ora! Mi piacerebbe tornare anche nel futuro, magari con Leonora del Trovatore…chissà!

Grazie a Lana Kos e In bocca al lupo!

Francesco Lodola

2 pensieri riguardo “L’OPERA, LA GRANDE BELLEZZA: INTERVISTA A LANA KOS

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