Per il secondo appuntamento operistico della stagione (che abbiamo avuto il piacere di vedere dal vivo), il Teatro Filarmonico di Verona proponeva un dittico interessante per accostamento e varietà musico-stilistica. Il pomeriggio si apriva con Il Tabarro di Giacomo Puccini, di ritorno dopo 20 anni dalla prima ed unica esecuzione veronese. A seguire una Il Parlatore Eterno, scherzo comico in un atto di Amilcare Ponchielli, su libretto di Antonio Ghislanzoni.

Quest’ultimo titolo debuttava sul palcoscenico di Verona, e rappresentava invero una perla rarissima, di cui si conta una sola esecuzione in tempi moderni, a Lecco, nel 2006. L’opera di Ponchielli fu eseguita proprio per la prima volta al Teatro della Società di Lecco il 18 ottobre 1873, con il baritono Ignazio Viganotti nel ruolo principale di Lelio Cinguetta. Viganotti godeva all’epoca di buona fama come baritono lirico specializzato nel repertorio donizettiano e francese, mentre si muoveva con più fatica nel repertorio drammatico verdiano (almeno così parla la critica ottocentesca). Del ruolo si appropriò poi Antonio Pini-Corsi, celebre baritono brillante (creatore tra gli altri dei ruoli di Ford nel Falstaff e di Schaunard ne La Bohème), il quale in alcune rappresentazioni come Fra Melitone ne La Forza del destino a Genova nel 1892 scelse di eseguire quest’opera tra gli atti presumibilmente, scatenando le ire di Verdi che scrisse a Giulio Ricordi: “L’altra sera per sua serata ha aggiunto alla Forza una farsetta di Ponchielli Il parlatore eterno, in cui continua a svociarsi, tutto solo, e gridare per tre quarti d’ora. Stassera replica… e allegri.”

©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Il ruolo di Lelio Cinguetta non è infatti uno scherzo, pur l’opera essendo di una durata esigua di venticinque minuti circa, il protagonista canta ininterrottamente, alternando passi di canto di notevole lirismo a sillabati da vero buffo. Si consideri poi che l’orchestrazione di Ponchielli spicca per sontuosità e ampiezza, così da rendere necessaria la presenza di una vocalità assolutamente capace di dominare tutto e tutti. Nell’esecuzione veronese ciò avveniva grazie al talento di Biagio Pizzuti, baritono dotato di bel timbro, tecnica di preziosa rifinitura e una capacità naturale di saper dare peso alla parola scenica. Grazie a queste qualità l’artista risolveva con facilità disarmante le richieste del ruolo, trasmettendo alla perfezione il testo ricchissimo di Ghislanzoni e allo stesso tempo sfoggiando un canto spianato vigoroso e luminoso.

©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Negli altri ruoli, praticamente muti, si comportavano diligentemente Grazia Montanari (Susetta), Maurizio Pantò (Dottor Nespola, padre di Susetta), Tamara Zandonà (la madre Aspasia), Sonia Bianchetti (Sandrina), Salvatore Schiano di Cola (Egidio) e Francesco Azzolini (Un caporale dei gendarmi).

La regia di Stefano Trespidi delineava uno spettacolo vivace, dinamico e dal ritmo (elemento essenziale in titoli come questo) incalzante. Il lavoro sul protagonista esaltava il divertimento di questa pièce ponchielliana così spumeggiante. La scena unica firmata da Filippo Tonon faceva il resto, rendendo questo Parlatore Eterno un’occasione pienamente centrata.

©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Lo spettacolo del Tabarro firmato da Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi (regia), Leila Fteita (scene) e Silvia Bonetti (costumi), si muoveva su binari di una rassicurante tradizione. La regia delineava con grande cura tutte le indicazioni del libretto. Certo, fare il Verismo con il distanziamento non è il massimo: in un’opera come il Tabarro fatta di passione erotica e di dramma psico-sessuale la mancanza della possibilità dei protagonisti di avvicinarsi nuoce alla definizione scenica di questi meccanismi. Entrambi gli spettacoli godevano del bel disegno luci di Paolo Mazzon.

Emergevano nell’opera pucciniana sia come presenze teatrali che vocali le due donne del cast: Rossana Rinaldi (Frugola) e Maria José Siri (Giorgetta). La prima veniva a capo di un ruolo apparentemente facile, che ha bisogno di musicalità e carattere, qualità che la Rinaldi dimostrava di possedere, donandoci una Frugola briosa e umanissima, dipinta con voce importante e temperamentosa. Maria José Siri è una Giorgetta sensibile, dal canto luminoso soprattutto nelle pagine più liriche, sapendo tuttavia dominare con sapienza anche le impennate drammatiche e restituendo con credibilità ogni piega del personaggio. Entrambe sono attrici di grande abilità, e si muovono sul palcoscenico con disinvoltura.

©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Samuele Simoncini risolve l’impervio ruolo di Luigi giovandosi di una voce che ha il suo punto di forza nel registro centrale di bel colore drammatico. Elia Fabbian invece non convince quale Michele. Il baritono possiede per natura uno strumento vocale importante, ma il personaggio con la sua profondità non emergeva completamente nella sua interpretazione.

Bene Francesco Pittari nei panni del Tinca, meno incisivo il Talpa di Davide Procaccini. Discreti gli altri, importantissimi nell’affresco musicale pucciniano: Riccardo Rados, impegnato nel doppio ruolo del Venditore di canzonette e Secondo amante, Grazia Montanari nella duplice parte della Prima amante e Voce di sopranino e Dario Righetti, Voce di tenorino. 

©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Sul podio avevamo l’atteso ritorno di Daniel Oren, al suo debutto debutto nel Parlatore Eterno, in cui gestiva con sapienza e arguzia le esigenze del protagonista, creando un brillante dialogo tra buca e palcoscenico. Nel Tabarro ritrovavamo il grande Maestro del Verismo, erede della grande tradizione, vissuta però con moderno senso del teatro. Basterebbe ascoltare questa direzione del Maestro Oren per capire che il Verismo non è sonorità fragorose, urla e esagitazione, ma è invece espressività sincera, verità teatrale che deve affiorare prima di tutto dalla musica. Benissimo la prova di Orchestra e del coro diretto da Vito Lombardi.

Verona, 25 febbraio 2021

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