Il Teatro Regio di Torino conclude le sue due settimane dedicate alla proposta del repertorio buffo: dopo il grande successo della Serva Padrona di Pergolesi porta sulle scene un capolavoro caduto nell’oblio del pubblico italiano come il Pimpinone, ovvero le nozze infelici di Georg Philipp Telemann. Questi, sulla scia dell’enorme successo italiano, portò ad Amburgo la tradizione buffa attorno agli anni Venti del Settecento, musicando un soggetto proposto nella penisola dal libretto di Pietro Pariati e le note di Tomaso Albinoni. Quello ascoltato a Torino è l’adattamento del libretto di Pariati sul comparto musicale di Telemann, al quale vengono affiancati inserti propri del libretto di Praetorius che aveva fatto il successo tedesco del Pimpinone. Questi ultimi inserti sono curati dalla traduzione di Mariano Bauduin che, in qualità di regista, conferma la vocazione rigorosamente classica dell’allestimento torinese, il quale è ancora una volta arricchito dall’inserto di intermezzi musicali desunti da Pepusch sul The Beggar’s Opera di John Gay, recitati da Pietro Pignatelli nei panni di un mendicante e inseriti a Ouverture dell’intero capolavoro.

Si conferma magistrale la prova della coppia Di Sauro-Romano, ormai consolidata agli occhi del pubblico torinese che apprezza qui, nella Di Sauro, una capacità di adattamento a un repertorio non propriamente suo, ma al quale riesce a imprimere quella soffice vivacità familiare a chi la segue; Romano dà prova di solidissima proprietà vocale in “So quel che si dice, so quel che si fa”, che rappresenta sicuramente il punto di massima ilarità e soprattutto difficoltà dell’intera composizione, destreggiandosi con abilità nei repentini e grotteschi salti di registro previsti. Una coppia in grado di muoversi agilmente sulle scene di Claudia Boasso che aggiusta lievemente la composizione floreale rispetto alla scenografia della Serva Padrona precedente, con la quale condivide tuttavia l’impianto scenico. L’unico elemento degno di nota che trova aggiunta in questa seconda proposta buffa è la presenza di un piccolo teatrino artigianale sul quale si consumano alcuni degli interventi del Mendicante e di Vespetta, in una sorta di interessante metateatro che investe il pubblico per accompagnarlo nella pluridimensione grottesca e farsesca offerta dal repertorio settecentesco. Apprezzata è infine la direzione di Giulio Laguzzi coadiuvata dal fortepiano di Carlo Caputo, entrambi proiettati verso un accompagnamento musicale mai invadente e sempre soffice, all’altezza della complessità dello spartito di Telemann. 

Il Regio Opera Festival porta dunque momentaneamente a termine la propria offerta buffa di mezza estate registrando due spettacoli di indubbia qualità artistica ma anche di interesse musicale grazie alla riscoperta di gemme dimenticate come il Pimpinone di questa occasione.

Lascia un commento