Il 1 luglio è andata in scena all’arena di Verona la seconda recita di Nabucco. Dramma lirico verdiano che nel kolossal concepito dalla mente di Arnaud Bernard, che firma allestimento e costumi, è ambientato non più nell’antica Babilonia, ma negli anni dei moti risorgimentali ottocenteschi italiani. La trasposizione è realizzata con intelligenza: il dramma degli ebrei sotto il dominio babilonese diventa il dramma degli italiani sotto gli austriaci. Giubbe rosse e giubbe gialle segnano i due schieramenti di uno spettacolo dinamico fin dalle primissime note della sinfonia, in cui il palco diventa un accampamento militare: uomini, donne, soldati, bambini, medici e infermiere abitano l’enorme spazio areniano. Le scene, di Alessandro Camera, sono giuste per gli spazi veronesi. Consistono nella riproduzione dell’esterno del massimo milanese, il teatro alla Scala, su cui garrisce, nei diversi atti, dapprima il tricolore italiano, poi l’effige con l’aquila d’Austria. Di questa regia, fra i momenti più interessanti vi è sicuramente il momento del teatro nel teatro, il Nabucco nel Nabucco. In cui la contrapposizione fra ebrei e babilonese, leggasi italiani e austriaci, avviene nella sala del Piermarini, concludendosi con Abigaille, assurta al potere che vede se stessa morire, pentita, sul palco.

Per quanto riguarda i risultati musicali della serata si può, a buon titolo parlare di una serata più che positiva in cui a spiccare sono stati alcuni dei protagonisti dell’opera, i quali hanno saputo essere agenti dinamici, vocalmente e scenicamente, di uno spettacolo così complesso. Tra questi, spicca sicuramente Sebastian Catana, nel ruolo del titolo. Egli incarna perfettamente il ruolo del Re babilonese. La vocalità è salda, il volume importante, il fraseggio raffinato. Fra i momenti di maggior trasporto si segnalano l’aria e la cabaletta, con tanto di puntatura in acuto sul finale e il duetto con Abigaille del terzo atto. Samuele Simoncini, interpretante Ismaele, è dotato di grande piglio lirico che conferisce spessore al personaggio che interpreta. Buona la vocalità, generoso nell’emissione, perfettibile il fraseggio. Notevolissimo Abramo Rosalen nel non facile ruolo di Zaccaria: di bella presenza non solo vocale: sa bene come tenere il palco nonostante la grandezza degli spazi. Lodevole, su tutti, i suoi interventi del primo atto. Il ruolo di Abigaille era ricoperto da Ewa Płonka. Il giovane soprano, debuttante nel ruolo e in Arena, stupisce per la precisione dell’emissione e per un timbro assai pastoso. Il settore acuto è saldo e svettante. La sua idea del personaggio è sicuramente più lirica che drammatica. Notevolissima l’aria e la cabeletta del secondo atto, ma anche l’aria di sortita nel finale. Nel ruolo di Fenena, particolarmente dinamico in questo allestimento, vediamo Francesca Di Sauro. Il volume è ampio, la voce ben proiettata dal grave all’acuto. Ciò le permette nella breve aria di filare e rinforzare i suoni acuti con molta grazia e gusto. Chiudono brillantemente il cast il sacerdote di Belo di Nicolò Ceriani, l’Abdallo di Carlo Bosi e Elisabetta Zizzo nei panni di Anna.

A dirigere la serata vi era Daniel Oren, veterano dell’Arena e molto amato dal pubblico. La direzione è attenta ai colori e alle dinamiche. Sebbene ciò non sempre direzione, orchestra e coro risultavano sulla stessa lunghezza d’onda. Nonostante ciò, pregevolissima è stata l’esecuzione del coro degli schiavi ebrei, di cui il maestro Oren ha immediatamente concesso un bis. Serata dunque conclusasi fra calori e meritati applausi.

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